Sono in aumento in Italia le persone transgender, complice anche un maggiore coming-out ed afflusso presso i centri specializzati: una condizione aumentata di migliaia di volte in 40 anni e che oggi, in base agli unici dati disponibili tratti dalle persone che si rivolgono ai centri per l’adeguamento di genere, si stima interessi lo 0,5-1% della popolazione generale, quindi circa 500.000 persone, contro una diffusione dello 0,002-0,005% negli anni ’80. Ma il mondo transgender, specie sul versante salute, resta ancora poco conosciuto: per questo parte uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss) insieme a sette dei principali centri italiani per la gestione clinica delle persone transgender (a Bologna, Firenze, Torino, Milano, Napoli, Roma e Cagliari) per raccogliere informazioni sulle problematiche cliniche e lo stato di salute di questa fascia di popolazione e capire se vi siano fattori associati ad un maggior rischio di malattie.
L’iniziativa, che vede il coinvolgimento della Società italiana di endocrinologia (Sie), arriva nel momento in cui è accesso il dibattito sul ddl Zan. “Negli ultimi tempi la condizione delle persone transgender è finita sotto i riflettori proprio per il ddl Zan, il dibattuto disegno di legge che prevede l’inasprimento delle pene per i reati gravati da motivazioni discriminatorie basate su orientamento sessuale, etnie e disabilità”, sottolinea Erika Limoncin, Psicosessuologa all’Università Tor Vergata di Roma. Il punto, rileva da parte sua Annamaria Colao, presidente neo eletta Sie, è che “si sente il bisogno di inquadrare dal punto di vista legislativo delle forme di protezione, perché una persona transgender vive un’incongruenza tra il proprio sesso biologico e il genere sessuale che percepisce di se stesso, da cui deriva una sofferenza psicologica importante, che solo con l’aiuto di ormoni e chirurgie può riuscire a essere mitigata”.
Ad oggi si stima che la prevalenza dell’incongruenza di genere nelle persone biologicamente maschi che vogliono adeguare l’identità a quella femminile oscilla tra 1:11.900 e 1:45.000. Al contrario, la prevalenza delle femmine che chiedono l’adeguamento all’identità maschile varia da 1:30.400 a 1:200.000. “Gli studi in corso sullo stato di salute della popolazione transgender sono un primo passo importante per comprendere i bisogni di salute di questa fascia particolarmente vulnerabile dal punto di vista sanitario e in questa direzione va il portale INFOTRANS, realizzato in collaborazione con l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali-Presidenza del Consiglio dei Ministri – spiega Marina Pierdominici, del Centro di Riferimento per la Medicina di Genere dell’ISS in occasione del Congresso Nazionale Sie a Roma -. E’ il primo portale istituzionale in Europa che mette a disposizione dei cittadini informazioni sanitarie e giuridiche, oltre una mappa dei servizi al fine di promuovere una corretta informazione”. L’obiettivo, è anche evitare “pericolosi trattamenti fai-da-te o ritardi nell’inizio del trattamento ormonale”, sottolinea Rosario Pivonello, responsabile del Centro di Andrologia e Medicina della Riproduzione e della Sessualità Maschile e Femminile Università Federico II di Napoli.
Ma è ancora tanta la strada da fare per diffondere una cultura di accoglienza delle persone transgender che ancora oggi, avvertono gli specialisti, sono vittime di discriminazioni. Lo dimostra uno studio del 2019 della Harvard Chan School of Public Health di Boston che mostra come il 57% degli LGBTQ ha fatto esperienza almeno una volta di discriminazioni legate all’orientamento sessuale, anche sul fronte dell’assistenza medica, il 53% di micro-aggressioni, il 51% di molestie sessuali, il 51% di violenza, il 34% di molestie riguardanti l’uso dei servizi igienici. Un adulto LGBTQ su sei ha inoltre riferito di evitare i servizi sanitari per le discriminazioni. Questi dati, conclude Pivonello, “indicano che le discriminazioni, in ambito sanitario soprattutto, alimentano un sommerso di cure fai-da-te pericolosissime, cui le persone transgender finiscono per sottoporsi pur di evitare di sentirsi derise e discriminate al momento dell’accesso ai servizi”.
Fonte Ansa.it