(ANSA) – ROMA, 15 DIC – Era il 1921 quando James Ewing
descrisse una strana e rara forma di tumore osseo, altamente
aggressivo, che chiamò endotelioma diffuso dell’osso. Da allora
sono passati 100 anni, gli avanzamenti nella ricerca e
trattamento del sarcoma di Ewing, che origina nel tessuto
connettivo e colpisce principalmente bambini, adolescenti e
giovani adulti, “sono stati numerosi ma ancora tantissime sono
le sfide per la ricerca e quindi per i pazienti”. A spiegarlo è
Ornella Gonzato, presidente del Trust Paola Gonzato intervenuta
al congresso “100 Years Ewing Sarcoma”, organizzato
dall’Università di Essen, in Germania, che ha visto coinvolti i
principali esperti e gruppi di ricerca internazionali, assieme a
Sarcoma Patients EuroNet (Spaen), l’organizzazione che
rappresenta a livello globale i pazienti con sarcoma.
Il Sarcoma di Ewing è in realtà una ‘famiglia’ di tumori
rari, che si manifestano a un’età media di 15 anni. Ogni anno se
ne verifica un caso su 1,5 milioni di persone e nell’85% dei
casi ha origine nelle ossa, sia degli arti (come femore e omero)
che del bacino e del torace. Nel 15% dei malati, può invece
insorgere nei tessuti molli. “Al momento della diagnosi, circa
il 25-30% dei malati presenta metastasi, solitamente ai polmoni,
ossa e midollo”, spiega. La sopravvivenza a 5 anni delle persone
con malattia localizzata è intorno al 70% ma si può ridurre fino
al 30% in quelle con metastasi. “Questa famiglia di sarcomi sottolinea Gonzato, membro del Consiglio Direttori di Spaen –
presenta elevata complessità biologica e un insieme di
alterazioni genetiche ed epigenetiche. Le sfide per la ricerca
sono molte, per poter migliorare diagnosi, prognosi,
monitoraggio, trattamento. Sfide che riguardano la ricerca di
base, quella traslazionale e gli studi clinici, difficili da
condurre per la scarsità dei numeri legati alla rarità.
Collaborazioni internazionali su vasta scala sono essenziali,
per condividere conoscenze e dati attraverso i quali costruire
evidenza scientifica. Un processo in cui le organizzazioni di
pazienti devono essere sempre più coinvolte, perché la ricerca
non può essere solo ‘sui’ ma ‘con’ i pazienti”. (ANSA).
Fonte Ansa.it