Se non adottiamo azioni urgenti per fermare la crescita dei tassi di obesità, avremo presto più persone obese che sottonutrite nel mondo. Il sistema alimentare globale non sta fornendo alle persone le diete di cui hanno bisogno.
Non c’è manifesto più tangibile della disuguaglianza che attanaglia il mondo della fame in crescita contrapposta alla crescita dell’obesità: le stime fornite dalla Fao (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) all’Accademia pontificia delle scienze indicano che oggi 2,6 miliardi di persone sono in sovrappeso e che la prevalenza dell’obesità nella popolazione mondiale è aumentata dall’11,7 per cento del 2012, al 13,2 per cento nel 2016. Si tratta di un paradosso cui anche l’Italia non sfugge, tutt’altro; nel nostro Paese mentre circa 600mila persone sono esposte a gravi insicurezze alimentari, 11,6 milioni di adulti sono obesi.
«Se non adottiamo azioni urgenti per fermare la crescita dei tassi di obesità, avremo presto più persone obese che sottonutrite nel mondo», ha dichiarato il direttore generale della Fao José Graziano da Silva. Eppure sarebbe semplicistico e ingiusto pensare che il sovrappeso indichi sempre e comunque opulenza, essendo spesso vero il contrario. La realtà – spiega la Fao – è che il sistema alimentare globale non sta fornendo alle persone le diete di cui hanno bisogno per condurre una vita sana, e sta invece contribuendo al crescere dell’obesità e del sovrappeso, soprattutto nei paesi che importano la maggior parte del proprio cibo. «Sfortunatamente – argomenta da Silva – commodity e cibo processato a basso costo sono molto più comodi per il commercio internazionale».
Il consumo eccessivo di cibi d’importazione altamente processati e ad alto contenuto di sale, sodio, zuccheri e grassi trans è il maggiore fattore scatenante di questa situazione. Si tratta di un problema particolarmente diffuso nei piccoli paesi insulari in via di sviluppo del Pacifico, che sono costretti ad importare la maggior parte del cibo, e dove l’obesità si attesta tra il 30% della popolazione delle Fiji, fino all’80% delle donne nella Samoa americana. In almeno 10 Paesi insulari del Pacifico, oltre il 50% della popolazione è in sovrappeso, arrivando in alcuni fino al 90%.
«Fastfood e cibo spazzatura sono i migliori esempi di tutto ciò. Questo tipo di alimenti costa meno ed è più facile accedervi che non il cibo fresco, soprattutto per i più poveri nelle zone urbane», ha ricordato il direttore generale della Fao, sottolineando come quando le risorse per il cibo cominciano a scarseggiare, le persone scelgano cibi meno costosi, spesso ricchi di calorie ma dallo scarso contenuto di nutrienti. Il consumo di questo tipo di alimenti ha però ha un costo molto alto per la società, con l’obesità che rappresenta un fattore di rischio per molte malattie non trasmissibili come le malattie del cuore, infarti, diabete e alcune forme di tumore.
«Ci sono diversi fattori che favoriscono questa pandemia globale dell’obesità, e le diete poco sane sono tra quelli più significativi»: Graziano da Silva ha fatto riferimento all’aumentata disponibilità e la facilità di accesso ad alimenti altamente energetici e ricchi di grassi, zuccheri e sale, le cui vendite sono state favorite da intense campagne di pubblicità e marketing.
Per invertire la rotta è necessario guidare le abitudini del consumatore, anche attraverso politiche pubbliche dedicate allo scopo. Gli strumenti spaziano dall’educazione alla garanzia di un maggiore accesso alle informazioni da parte dei consumatori, arrivando fino a quelli più diretti e incisivi: tasse su prodotti alimentari non salutari; un’etichettatura chiara e informativa dei prodotti; limiti alla promozione del cibo spazzatura per i bambini e la riduzione dei livelli di sali e zuccheri per produrre alimenti – fino a bandire l’uso di alcuni ingredienti come i grassi trans.
La stessa Fao suggerisce che i governi dovrebbero incoraggiare la diversificazione degli alimenti, e facilitare l’accesso ai mercati per i prodotti degli agricoltori a livello familiare, ad esempio attraverso programmi per la nutrizione scolastica che colleghino la produzione locale alle mense delle scuole, favorendo così anche l’economia locale, oltre a diete sane per i bambini. Anche i trattati di commercio devono essere disegnati in modo da rendere la produzione di cibo nutriente a livello locale meno costosa, restringendo l’influsso di cibo di scarsa qualità a basso costo, ricco di grassi, zucchero e sale.
(Green Report)