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LA “FINTA PAURA” FA BENE AL CERVELLO

I neuroscienziati dell’IRCCS di neuroscienze Ospedale Policlinico San Martino di Genova spiegano dove nasce e perché la paura può essere piacevole

Antonio Uccelli, neuroscienziato tra i più affermati e Direttore Scientifico del San Martino di Genova.

La paura è sempre seguita da un’ondata di sollievo che provoca il rilascio di endorfine e dopamina che innescano una scarica di euforia.

Genova, venerdì 28 ottobre 2022 – Il brivido di un “sano” spavento risveglia il corpo e provoca una tempesta chimica di paura e sollievo. A spiegare il fascino dell’orrore è Antonio Uccelli, neuroscienziato tra i più affermati e Direttore Scientifico del San Martino di Genova. “I segnali della paura nascono dall’amigdala, un nucleo a forma di mandorla situato nel profondo del cervello, che modula la risposta alla paura. In una situazione attivante, potenzialmente pericolosa, l’amigdala stimola l’ipotalamo, che attiva a cascata il sistema nervoso simpatico e il sistema corticale surrenale – provocando un flusso improvviso di ormoni e innescando la risposta di lotta o fuga”, spiega Uccelli.

All’interno della risposta di lotta o fuga, attraverso questi sistemi, tra cui l’aumento di adrenalina, aumenta la vigilanza e reattività agli stimoli esterni. Per prepararsi al confronto, accelera la frequenza cardiaca e l’afflusso di sangue ai muscoli, la respirazione accelera e i livelli di glucosio nel sangue aumentano, dando al corpo una rapida carica di energia, pronto per l’azione.

“Sebbene abbiamo compreso alcuni aspetti delle reti neurali della paura e di come coordinano il comportamento, ci sono ancora molte incognite”, precisa Matteo Pardini, Professore Associato di Neuroscienze del San Martino e dell’Università di Genova ed esperto di scienze cognitive. “Quando siamo esposti a stimoli sensoriali o a un ambiente potenzialmente minaccioso,nel cervello vengono attivate due vie. La prima – spiega il neuroscienziato – è veloce: le informazioni vengono trasferite al talamo sensoriale e quindi all’amigdala, consentendo un’azione immediata agli stimoli minacciosi. La seconda via è un percorso più lento e indiretto: le informazioni vengono inviate dal talamo alla corteccia, lo strato più esterno del cervello, associato alla coscienza, al ragionamento e alla memoria. Questo consente di analizzare la minaccia e ci consente di determinare se siamo in pericolo reale”.

“Non sappiamo esattamente dove si manifesti la sensazione di paura nel cervello – continua Uccelli – ma è probabile che provenga dall’attivazione coordinata di una rete che coinvolge più regioni cerebrali. Se la minaccia è considerata reale, verranno attivate altre aree del cervello per avviare una risposta coordinata al pericolo possibile.

Il ricordo del pericolo sarà trasferito e archiviato nella memoria, attraverso l’attività dell’ippocampo – spiega ancora – in modo che siamo in grado di ricordare e identificare la minaccia al prossimo incontro”.

“Nelle forme ricreative della paura dai film horror ai racconti per bambini c’è invece un punto giusto in cui il contesto non è troppo terrificante, ma nemmeno troppo addomesticato – aggiunge Uccelli -. In quel punto, un‘ondata di paura seguita rapidamente da una di sollievo provoca il rilascio di trasmettitori che promuovono il benessere nel cervello – endorfine e dopamina – e che innescano una scarica di euforia. Tuttavia, è importante tenere a mente che ognuno di noi – prosegue – ha una propria linea di confine oltre al quale la paura innocua può scatenare angoscia. Quello che può essere un brivido per una persona, può essere davvero terrificante per un’altra.

 

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