Una nuova meta-analisi condotta su 29mila donne dalla Drexel University College of Medicine di Philadelphia, appena presentata al congresso della Menopause Society di Chicago, ha dimostrato che la terapia ormonale sostitutiva in menopausa può contribuire a ridurre il rischio di insulino-resistenza e i disturbi metabolici che, a loro volta, sono legati a un aumento della fragilità ossea e del rischio cardiovascolare. Centrale il ruolo dell’endocrinologo come specialista di riferimento, spesso sottovalutato anche dalla stessa classe medica.
Genova, giovedì 26 settembre 2024 – “Dopo numerose revisioni e recenti studi è ora di fare chiarezza sul fatto che la terapia ormonale sostitutiva (TOS) è una risorsa preziosa, quando usata appropriatamente, per ridurre i sintomi della menopausa, con un’azione protettiva a lungo termine sulle malattie cardiache e metaboliche e sullo sviluppo di osteoporosi. Per molti anni, le donne e gli operatori sanitari hanno evitato la terapia ormonale per timore che potesse aumentare il rischio di tumore alla mammella, ma se assunta sotto controllo medico, personalizzata e costantemente monitorata, non bisogna averne paura. Tuttavia, in Italia, su oltre 10 milioni di donne in menopausa, appena il 4-5% ne fa uso”. A dichiararlo è Gianluca Aimaretti, presidente della Società Italiana di Endocrinologia (SIE) e direttore del Dipartimento di Medicina Translazionale (DiMET) dell’Università del Piemonte Orientale, in una nota a commento di una nuova meta-analisi di 17 studi, presentata dagli scienziati della Drexel University College of Medicine di Philadelphia al congresso della Menopause Society di Chicago, che dimostra come la terapia ormonale è efficace nel ridurre il rischio di sviluppare l’insulino-resistenza, precursore del diabete, contrastando il calo dei livelli di estrogeni che si verifica quando una donna entra in menopausa.
“Oggi le donne trascorrono in menopausa circa un terzo della loro esistenza e, tenuto conto che la loro aspettativa di vita è di circa 85 anni, mentre l’età media della menopausa è 52, il mancato trattamento con le tante soluzioni disponibili significa costringerle a trascorrere 30 anni o più con una qualità di vita non ottimale e un rischio elevato di malattie cardiache, metaboliche e ossee”, riflette Aimaretti.
LO STUDIO
Nella nuova meta-analisi che ha coinvolto più di 29mila partecipanti con un’età compresa tra i 47 e i 75 anni, tra il 1998 e il 2024, è stato scoperto che la terapia ormonale ha ridotto significativamente la resistenza all’insulina nelle donne sane in postmenopausa senza malattie metaboliche, tra cui diabete, ipertensione e malattie cardiovascolari. Nello studio sono stati confrontati i dati di 15.350 donne che hanno ricevuto la terapia ormonale, a base sia di solo estrogeni che di estrogeni più progestinici, con quelli di 13.937 donne a cui è stato somministrato un placebo. La durata del trattamento variava da otto settimane a due anni. “Lo studio ha dimostrato che entrambi i tipi di terapia ormonale hanno ridotto significativamente la resistenza all’insulina nelle donne sane in postmenopausa, sebbene l’uso di soli estrogeni sia stato associato a una riduzione più evidente rispetto a una terapia ormonale combinata -spiega Aimaretti -. Questo potrebbe dipendere dal fatto che l’estrogeno ha la capacità di migliorare la sensibilità all’insulina nei muscoli e nel grasso, aiutando le cellule a rispondere meglio ad essa. Può anche ridurre il grasso viscerale, che è notoriamente associato alla resistenza all’insulina. Inoltre, l’estrogeno è un antinfiammatorio ed è in grado di abbassare i livelli di acidi grassi liberi circolanti, che determinano la disfunzione e la morte delle cellule beta pancreatiche deputate alla produzione dell’ormone”.
Il nuovo studio quindi conferma che la terapia ormonale, oltre al trattamento dei sintomi della menopausa che possono minare significativamente la qualità della vita di una donna, può avere un ruolo chiave anche nella riduzione della resistenza all’insulina e, di conseguenza, di tutti i problemi di salute a essa associati.
I NUOVI FARMACI
Nel frattempo la ricerca scientifica sta producendo nuove soluzioni terapeutiche per le donne che non possono assumere la terapia ormonale, come ad esempio le pazienti oncologiche. “Di recente l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) ha approvato Fezolinetant, terapia orale non ormonale, che agisce bloccando le neurochinine B, molecole che regolano la temperatura corporea a livello cerebrale e riducono il numero e l’intensità delle vampate di calore e delle sudorazioni notturne – spiega Linda Vignozzi, Ordinaria di Endocrinologia all’Università di Firenze -. Agisce in modo simile anche Elinzanetant, farmaco ancora sperimentale, che ha dimostrato un rapido miglioramento dei sintomi, con benefici evidenti entro la prima settimana di trattamento. È opportuno, però, precisare che si tratta di opzioni terapeutiche di trattamento della sola sintomatologia, che non hanno, dunque, effetti protettivi a lungo termine sulla salute della donna in generale”, aggiunge.
“È evidente lo sforzo da parte soprattutto della comunità scientifica endocrinologica di aiutare le donne a vivere più serenamente la menopausa, una fase naturale della vita – conclude Aimaretti -. Le soluzioni terapeutiche disponibili oggi sono sicure ed efficaci ed è quindi importante parlarne con lo specialista per scegliere quella più appropriata per ciascuna donna”.