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Cervello, un vecchio farmaco blocca le malformazioni dei vasi

Un vecchio farmaco per il cuore potrebbe combattere le gravi malformazioni dei vasi sanguigni del cervello chiamate ‘cavernomi’: l’ipotesi, nata dallo studio pubblicato su Nature Communications dal gruppo di Elisabetta Dejana dell’Istituto Firc di Oncologia Molecolare (Ifom) e dell’Università Statale di Milano, sarà presto messa alla prova con una sperimentazione clinica condotta in Italia.

Lo studio, della durata di due anni, sarà finanziato dall’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) e coinvolgerà sei centri: il Policlinico, l’Istituto Besta e l’Ospedale Niguarda a Milano, l’Università Cattolica di Roma, La casa sollievo della sofferenza a San Giovanni Rotondo e l’Università di Messina. A oggi sono stati arruolati 69 pazienti volontari, ma la campagna di reclutamento si estenderà a un totale di 80 volontari e chiuderà il 30 settembre.
   

“Dal punto di vista molecolare – spiega Dejana – vi sono similitudini sorprendenti tra il cavernoma e un tumore benigno”. Anche la formazione dei cavernomi partirebbe infatti da una sola cellula, che mantiene nei vasi del cervello delle caratteristiche di immaturità: se portatrice di mutazioni in uno dei tre geni incriminati (CCM1, CCM2, CCM3), può proliferare creando le malformazioni tipiche del cavernoma.

“L’aspetto interessante – continua Dejana – è che queste cellule potrebbero essere eliminate selettivamente, bloccando così la formazione dei cavernomi senza creare grossi danni ai vasi normali del cervello”. I ricercatori hanno provato a farlo ricreando nei topi di laboratorio il decorso della malattia, per verificare l’efficacia di farmaci potenzialmente utili a sostituire la chirurgia nella cura del cavernoma.

A sorpresa il propranololo, un beta-bloccante già disponibile in commercio, ha dimostrato di ridurre la formazione di cavernomi. “Questa osservazione – precisa Dejana – ci ha permesso di programmare uno studio clinico controllato, in collaborazione con Roberto Latini dell’Istituto Mario Negri, con cui dovremmo raccogliere informazioni sugli effetti della terapia nei pazienti”.(ANSA).
   

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