I figli nati fuori dal matrimonio in Europa sono molti meno di quelli che comunemente si pensa: circa l’1%, e sono più frequenti nei ceti poveri e operai, soprattutto delle città più popolose. Un dato che si è osservato nell’arco di cinque secoli, con il picco nella Rivoluzione Industriale, per poi ridursi nel ‘900, anche per il calo demografico. A raccontarlo è il Dna nello studio condotto dall’università di Lovanio in collaborazione con quella di Bologna e pubblicato sulla rivista Current Biology.
“Il dato rassicurante è che il tasso di paternità fuori dal matrimonio è basso, circa l’1% e non il 25% come si sente dire in giro, ma ha subito un picco che coincide con la Rivoluzione industriale nell’800, con la crescita demografica, soprattutto nelle aree urbane”, chiarisce Alessio Boattini, ricercatore dell’ateneo bolognese. Una conclusione cui i ricercatori sono arrivati unendo l’analisi del Dna con quella dei dati genealogici. Sono partiti selezionando un campione di 513 coppie di maschi adulti viventi, residenti in Belgio e Olanda che, sulla base dei dati genealogici, avevano un antenato paterno in comune e perciò dovevano avere lo stesso cromosoma Y.
“Dopo di che è stato fatto il confronto con il Dna, vedendo se tra le coppie che avevano un avo condiviso c’era corrispondenza a livello genetico. In caso contrario, ciò indicava che c’era stata una paternità fuori dal matrimonio”. Un’analisi che è stata fatta andando a ritroso nel tempo fino alla metà del 1500. Non sono state trovate differenze significative nel tasso di figli extra-coniugali tra i due Paesi, né tra le varie confessioni religiose (protestanti e cattolici), mentre è risultato molto minore tra i contadini, artigiani benestanti e mercanti (circa l’1%) rispetto a operai e tessitori del ceto più basso (4%). Non solo.
Più aumentava la densità abitativa, più aumentavano i figli fuori del matrimonio. I ricercatori hanno calcolato che variava da circa lo 0,5% delle classi medio-alte e gli agricoltori che vivevano in città scarsamente abitate al 5-6% delle classi più basse che vivevano in città più popolose. “Ci sono dunque dei fattori che influenzano i comportamenti sessuali e che sono legati alle circostanze sociali – conclude Boattini – Per il futuro contiamo di ampliare il campione studiato e magari svolgere lo stesso tipo di ricerca anche in Italia”.