Non ci sono ormai dubbi che tutti i casi di infezione da coronavirus SarsCov2 in Italia fossero già lì, “adesso li stiamo individuando. In Italia sono stati fatti almeno 6.500 test e meno di 500 in Francia”, osserva il virologo Francesco Broccolo, dell’Università Bicocca di Milano. “Noi che stiamo cercando il virus lo abbiamo trovato ed è questo – aggiunge – il primo motivo dell’alta incidenza di nuovi casi”.
Proprio perché i contagi c’erano già in precedenza, “i casi nel lodigiano possono essere considerati la punta dell’iceberg”. Vale a dire che, se andassimo a cercare il virus con un’indagine a tappeto, “troveremmo casi senza una rilevanza critica importante, anche nei bambini”, nei quali il virus non ha finora mostrato di non avere conseguenze importanti. Tutti i casi accertati nelle regioni hanno mostrato di avere un legame con la Lombardia, a eccezione di quelli registrati nel Veneto. Per questo motivo, secondo il virologo, è corretto al momento parlare di due focolai in Italia.
Individuare i casi nelle regioni e ricostruire la rete dei contatti è stato possibile grazie ai laboratori di riferimento locali, dove sono stati fatti i tamponi; quando i test danno esito positivo si procede con la ricerca dei contatti per stringere ogni volta il cerchio intorno al virus: “si fa tutto questo per chiudere prima possibile la catena del contagio”.
Come hanno segnalato in questi giorni le autorità sanitarie, fare i test a tappeto probabilmente porterebbe alla luce molti casi positivi non clinicamente rilevati e finirebbe per generare panico e confusione. “Per questo – osserva il virologo – si preferisce concentrare i test solo nelle regioni in cui trovati i casi”. Accerchiare il virus permette inoltre di evitare uno scenario nel quale “avremmo molto probabilmente un’epidemia di tipo simil-influenzale, con una catena di contagio che si diffonderebbe”.
I cosiddetti ‘casi invisibili‘ sarebbero molto numerosi e, secondo uno studio dell’Imperial College di Londra, sarebbero una conseguenza dei primi casi invisibili arrivati dalla Cina nel resto del mondo e che sarebbero due terzi del totale dei casi usciti dalla Cina. “E’ l’ipotesi più probabile”, ha rilevato Broccolo. “Si calcola che gli asintomatici siano circa il 4% rispetto a tutti gli individui con l’infezione”, vale a dire che “su 100 infettati 4 non hanno segni, 80 hanno lievi sintomi di raffreddamento e 16 hanno manifestazioni che vanno da moderate-lievi fino alle più gravi”.
E’ ancora alla luce dei casi invisibili che potrebbe trovare una risposta l’altro grande punto interrogativo dell’epidemia in Italia: il ‘paziente zero’ dal quale tutto è iniziato.
Serve chiarezza anche sulle letalità del virus: “il tasso relativo a questo valore è molto teorico quando viene calcolato mentre l’epidemia è in corso”. E’ infatti il rapporto fra il numero dei morti e quello degli infetti” e questi ultimi “sono sempre sottostimati rispetto al numero reale”, osserva l’esperto. “Attualmente il tasso di letalità in Italia viene calcolato del 3%, ma potrebbe essere soggetto a variazioni”. Il tasso di diffusione è invece pari a 2,6: “dovremo arrivare – conclude – al di sotto dell’1 per uscire dall’epidemia”.