La scienza mette un freno alla fretta di riaprire dopo il lockdown imposto in quasi tutto il mondo dalla pandemia di Covid-19: nessuna obiezione che sia una necessità per l’economia, ma la comunità scientifica esorta ad affrontare la fase 2 solo in sicurezza e con un piano preciso, che fissi con chiarezza i passi da fare in fatto di test, tamponi e tracciamento del contatti. E’ una soglia importante, quella della riapertura, che molti Paesi si preparano a superare, mentre sullo sfondo alcuni scenari indicano il rischio che nel mondo possano essere colpite un miliardo di persone.
A lanciare un campanello d’allarme è la situazione in Germania, dove il Robert Koch Institut ha segnalato un indice di contagio che sfiora il valore 1, con oscillazioni che lo portano comunque allo 0.9. Certamente in Germania, come nel resto d’Europa e del mondo, la situazione è molto diversa da quella osservata dall’inizio dell’epidemia, quando il tasso di crescita esponenziale era del 35% con un raddoppio dei casi ogni 2,5 giorni; con le misure di contenimento è passato al 22% e poi a circa il 10%. “Ora tutti i Paesi sono allineati su un tasso crescita intorno al 2%”, ha detto all’ANSA il fisico Giorgio Sestili, fondatore e fra i curatori della pagina Facebook ‘Coronavirus-Dati e analisi scientifiche’. “L’Italia è ora al di sotto del 2% e il dato più recente, del 28 aprile, indicava lo 0,88%”.
Ancora in Europa chi sta crescendo velocemente è la Gran Bretagna, con un tasso di crescita del 4%, mentre la Svezia è diventata un caso in quanto al lockdown ha preferito responsabilizzare i cittadini e il suo tasso di crescita del 5% poggia comunque su numeri molto bassi. Gli Stati Uniti, dove il tasso di crescita è del 2,5%, si trovano nel pieno del picco di contagi e decessi, con un appiattimento della curva molto simile a quello osservato in Italia nelle scorse settimane.
Gli esperti concordano che dovremo aspettarci nuovi focolai e che, probabilmente, senza un vaccino non saremmo pronti a ripartire. E’ tornato ad affermarlo anche l’immunologo Anthony Fauci, direttore dell’istituto per lo studio delle malattie infettive (Niaid) che fa parte dei National Institutes of Health (Nih) americani. Tutt’altro che ottimista anche lo scenario tracciato dallo studio dell’organizzazione International Rescue Committee che, basandosi su modelli e dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) e dell’Imperial College di Londra, indica che un miliardo di persone in tutto il mondo potrebbero contrarre l’infezione da nuovo coronavirus.
Non è più incoraggiante lo scenario italiano elaborato dalla Fondazione Hume e basato sui dati della Protezione Civile, da cui emerge che i dati su decessi e contagi sono ancora “non rassicuranti” e per riaprire in sicurezza una “buona regola potrebbe essere aspettare che questi indici, soprattutto quello dei decessi, siano scesi vicino a zero”.
Quella italiana è poi una situazione particolare, con regioni con meno di dieci casi al giorno, come Umbria, Basilicata, Molise, Calabria, Sardegna e Puglia, e altre che hanno ancora centinaia di casi, come Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte. Quanto al Lazio, è l’unica regione in cui continuano ad aumentare i ricoveri.
“La riapertura dovrebbe tenere conto di queste differenze”, ha osservato Sestili. Eloquenti, infine, anche i numeri nazionali: “all’epoca del primo lockdown del 9 marzo in Italia i contagi giornalieri erano 1.800 e oggi sono circa 2.000: non c’è una grande differenza”, ha osservato Sestili. “Sempre il 9 marzo – ha aggiunto – i casi totali erano 9.172 e oggi riapriamo con oltre 105.000 casi positivi”.