Mentre su Whatsapp continua a risuonare l’audio-bufala che vorrebbe il coronavirus resistere fino a 9 giorni sull’asfalto, è la ricerca scientifica a dare i primi veri dati riguardanti la sua persistenza sulle superfici: fino a 4 ore sul rame, fino a 24 ore sul cartone e fino a 72 ore su plastica e acciaio. Lo ha verificato in laboratorio un gruppo di ricerca coordinato dai National Institutes of Health (Nih) americani con la partecipazione dell’Università di Princeton e dell’Università della California. I risultati sono pubblicati su medRxiv, il sito che permette di condividere gli articoli scientifici di medicina che devono ancora essere sottoposti a revisione prima della pubblicazione su una rivista ufficiale.
Molti interrogativi sul virus SarsCoV2 erano sorti già a febbraio, quando uno studio pubblicato su The Journal of Hospital Infection aveva sottolineato come altri coronavirus umani (come quelli di Sars e Mers) fossero in grado di persistere fino a 9 giorni su metallo, vetro e plastica.
Per verificare se lo stesso fosse vero anche per il nuovo coronavirus, i ricercatori statunitensi lo hanno sottoposto a specifici test di laboratorio per valutarne la resistenza nel tempo su diverse superfici (cosa diversa dalla trasmissibilità per contatto). Hanno così scoperto che il virus resta attivo fino a 4 ore sul rame e fino a 24 ore sul cartone. La sua vitalità si prolunga addirittura fino a 72 ore su plastica (polipropilene) e acciaio inox, materiali che però fortunatamente sono più facili da pulire e disinfettare. Lo studio precedente sui coronavirus ‘cugini’ aveva infatti sottolineato come ci si possa disfare della loro presenza usando disinfettanti con etanolo al 62-71%, acqua ossigenata allo 0,5% o ipoclorito di sodio allo 0,1%.
Dopo aver valutato la resistenza di SarsCoV2 sulle superfici, i ricercatori americani si sono spinti ancora oltre: hanno spruzzato il virus sotto forma di aerosol in un ambiente chiuso, verificando che può restare sospeso nell’aria fino a 3 ore. Lo studio è stato condotto in condizioni controllate in laboratorio che non rispecchiano quelle presenti nel mondo reale, per cui i ricercatori avvertono che questi risultati non dimostrano che sia possibile prendere il virus semplicemente respirando in un ambiente dove è stata un’altra persona infetta. L’aerosol, tra l’altro, è formato da particelle ben più piccole e leggere che restano in aria più a lungo rispetto al famoso ‘droplet’ prodotto da tosse e starnuti, che invece precipita più velocemente. Anche un recente studio cinese comparso su bioRxiv e condotto a Wuhan ha provato a verificare la presenza del virus nell’aerosol di ospedali e zone limitrofe, scoprendo che ad esempio l’aria nelle terapie intensive è sostanzialmente pulita, mentre concentrazioni rilevanti del virus si trovano in alcune aree come lo spogliatoio dove i medici si tolgono i dispositivi di protezione.