Come in ogni giallo che si rispetti, il cerchio si sta lentamente stringendo ma il colpevole continua a restare nell’ombra: i gruppi di ricerca che in tutto mondo stanno esaminando le sequenze del coronavirus 2019-nCov depositate nelle banche dati GenBank e Gisaid, liberamente accessibili ai ricercatori di tutto il mondo, sono riusciti a identificare sette varianti principali del nuovo virus, le cui caratteristiche fanno sospettare l’esistenza di un progenitore comune.
Nel frattempo si affilano altre armi e anche l’Europa, come hanno già fatto Cina e Stati Uniti, ha messo a punto il suo test, che risponde alle indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms): lo ha ideato il gruppo di Christian Drosten, dell’istituto di Virologia dell’Università Charité di Berlino, e lo ha messo a punto il gruppo del laboratorio di Virologia dell’Università di Padova diretto da Andrea Crisanti, nell’ambito della rete di laboratori europei Envid (European Network for Diagnostics of ‘Imported’ Viarl Dideases). Anche in questo caso le sequenze del virus contenute nelle banche dati hanno avuto un’importanza decisiva.
Proprio la rete Gisaid ha pubblicato una sorta di albero genealogico genetico del coronavirus basato sulle 51 sequenze finora pubblicate: dalle prime arrivate dalla Cina fino a quelle ottenute negli Stati Uniti, in Francia, in Germania. I ricercatori hanno rintracciato così fra i coronavirus isolati finora delle somiglianze di famiglia, fra le quali spiccano “sette mutazioni relative a un antenato comune” che avrebbe diffuso l’infezione nell’uomo nel periodo compreso fra novembre e dicembre 2019.
In attesa che arrivino nuovi indizi, c’è chi torna sul “luogo del delitto” per fare un po’ di luce sull’identità del misterioso progenitore: i ricercatori della Banca dati cinese di Microbiologia hanno analizzato i campioni dei tessuti animali prelevati dal mercato di animali vivi di Wuhan, considerato il principale punto di partenza dell’infezione. Dei 585 campioni analizzati, 33 sono risultati positivi al coronavirus,
confermando molto chiaramente che è stato un animale selvatico venduto nel mercato il laboratorio vivente nel quale il nuovo coronavirus si è formato ed è diventato capace di adattarsi all’organismo umano. I pipistrelli restano i primi indiziati, anche se sono state prospettate altre ipotesi, come quella dei serpenti, ma ora bisogna trovare le prove.