La settimana zero che inaugura la Fase 2 non parte da una fotografia recente dell’epidemia di Covid-19 in Italia, ma da un ritratto che risale a 15 giorni fa: per il fisico Federico Ricci Tersenghi, dell’Università Sapienza di Roma, dicono ancora poco i dati sulle regioni forniti dalla Cabina di regia composta da ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità e Regioni. Che si parta da una vecchia foto lo riconosce lo stesso documento del 16 maggio, ma “non è chiaro su quali dati si basi”, osserva Ricci Tersenghi.
Tracciano un vecchio ritratto anche i dati presentati alla vigilia della riapertura dalla Protezione civile, che registrano un aumento di decessi (145 in più di ieri per un totale di 31.908), contagiati (675 in più per un totale di 225.435) e guariti (2.366 in più, 125.176 in totale); mentre diminuiscono malati (1.836 meno di ieri per un totale di 68.351) e ricoveri in terapia intensiva (762 in meno).
Quali dati sarebbero necessari per avere un quadro più fedele della situazione? Innanzitutto bisogna considerare i valori dell’ indice di contagiosità R, che indica il numero di individui che possono essere contagiati da una persona positiva. Finora si parlato molto dell’indice R0, che fotografa la capacità che il virus ha di riprodursi all’inizio dell’epidemia: è un valore costante che descrive il comportamento del virus lasciato libero di diffondersi; quello con cui abbiamo a che fare ora è invece l’indice Rt, dove t indica il tempo, e che descrive l’evoluzione dell’epidemia nel tempo a seconda delle misure di contenimento adottate.
Per Ricci Tersenghi “è importante sapere come viene calcolato Rt”, ossia sulla base di quali dati e con quale algoritmo, “ma questo – osserva – nel rapporto della Cabina di regia non è spiegato”, contrariamente a quanto fanno altri Paesi, come la Germania. “E’ probabile, prosegue, che si calcoli in base alla data di insorgenza dei sintomi e non della diagnosi. Quest’ultima è infatti un fattore variabile, che dipende dal momento in cui è stato fatto il tampone e dal tempo impiegato per analizzarlo.
Nel documento, prosegue il fisico, mancano inoltre elementi di confronto fra le regioni: sembra che i numeri siano utilizzati senza considerare le differenze locali, riconoscendo per esempio una trasmissione ‘moderata’ sia alla Lombardia, che registra circa 200 casi al giorno, che all’Umbria, che negli ultimi giorni ha registrato un picco di sette casi. Senza considerare le realtà regionali è difficile riuscire a individuare e contenere eventuali nuovi focolai.
“Non siamo ancora all’era delle tre T”, dice Ricci Tersenghi riferendosi ai tamponi per la diagnosi, ai test sierologici che indicano se l’infezione è avvenuta in passato e al tracciamento, ossia alle forze in campo per ricostruire la serie dei contatti di una persona positiva e procedere al loro isolamento. Bisognerebbe conoscere, per ogni regione, il numero delle persone dedicate al tracciamento nelle Unità speciali di continuità assistenziale (Usca) e quello dei tamponi che si è in grado di fare.
Sono numeri che non si conoscono e la app per il tracciamento non è ancora disponibile, senza contare la necessità di avere luoghi preposti all’isolamento dei contatti con una persona positiva esterni alle abitazioni. “Sono misure necessarie per evitare di chiudere intere comunità o l’intero Paese e meno dolorose per l’economia. La speranza – conclude il fisico – è continuare a usare mascherine e distanziamento sociale e provvedere a una sorta di auto-tracciamento, nel quale una persona positiva avverta spontaneamente gli individui con cui è stata a contatto perché questi si mettano in isolamento. Non possiamo buttare via i sacrifici e le perdite economiche fatti durante il lockdown”.