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Innesti di memoria insegnano agli uccelli nuove melodie

Grazie a innesti di memoria, uccelli hanno imparato le note di nuove melodie. Il risultato, che sa di fantascienza, fornisce indizi per comprendere meglio le condizioni che influenzano il linguaggio, come l’autismo. Pubblicata sulla rivista Science, la ricerca e’ stata coordinata da Todd Roberts, dell’Universita’ del Texas a Dallas.

“Si e’ fatta un po’ di chiarezza sui meccanismi cerebrali alla base dell’apprendimento del linguaggio”, ha detto all’ANSA Marianna Semprini, del Rehab Technologies Iit-Inail Lab dell’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit). “Il risultato – ha aggiunto – va preso con le dovute proporzioni perche’ e’ stato ottenuto su un modello animale. Pero’ si e’ iniziato a capire quali sono le aree coinvolte e un giorno questo risultato dara’ la possibilita’ di investigare le origini dell’apprendimento del linguaggio”.

L’obiettivo era infatti iniziare a comprendere come il cervello codifica i ricordi necessari ad apprendere il linguaggio e come si puo’ intervenire quando qualcosa, nel percorso, va storto. L’esperimento si e’ basato sul diamante mandarino perche’ questo uccello condivide con l’uomo le prime fasi dello sviluppo vocale, cioe’ impara a cantare ascoltando i genitori proprio come fanno i bambini per imparare a parlare.

Nell’esperimento si e’ voluto vedere se e’ possibile impiantare ricordi di suoni nel cervello di uccelli che non ne hanno mai ascoltati, per insegnare loro a cantare.


Rappresentazione grafica degli innesti di memoria (fonte: UTSW)

Per verificarlo e’ stata adottata la tecnologia che utilizza la luce (optogenetica) per attivare i neuroni. In questo caso sono stati attivati i neuroni del nucleo interfascicolare (Nif), che invia impulsi alla regione cruciale nel cervello degli uccelli per la produzione dei suoni, chiamata Hvc (High Vocal Center). In questo modo sono stati creati ricordi di vocalizzazioni, grazie ai quali gli uccelli hanno imparato le note di alcune melodie.

E’ molto interessante, secondo l’esperta, “aver visto come insegnare il linguaggio attraverso una tecnica artificiale”. Non c’e’ un riscontro applicativo immediato ma, osserva, il risultato “ci da’ idea di come in futuro si potrebbe intervenire per aiutare il cervello ad apprendere, qualora questo non possa avvenire autonomamente a causa di malfunzionamento”.

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