Sono state complessivamente oltre 2.400, per un peso complessivo che supera i 300 chilogrammi, le rocce lunari portate sulla Terra dalle missioni Apollo. Alcune possono essere ammirate nei musei, ma la maggior sono state studiate nei laboratori di tutto il mondo, compresi quelli italiani.
Una delle prime a studiarli in Italia era stata la planetologa Angioletta Coradini, scomparsa nel 2011, che all’epoca delle missioni Apollo lavorava nell’università Sapienza di Roma. Nel suo laboratorio le prime rocce lunari erano arrivate con un corriere diplomatico, ma in breve il suo gruppo di ricerca si guadagnò la piena fiducia della Nasa, e lei e i suoi colleghi andavano negli Stati Uniti a prendere i campioni, che venivano trasportati in scatole di metallo sulle quali erano evidenti le scritte ‘non aprire’, ‘non toccare’, ‘non contaminare’.
E’ stato grazie all’analisi delle rocce lunari che è stato possibile ricostruire l’origine della Luna: la composizione delle rocce indicava senza ombra di dubbio che la Luna era nata dalla Terra, risolvendo un passo dopo l’altro quello che per decenni era stato un tremendo rompicapo.
Affascinanti, con la loro superficie irregolare costellata di minuscole sfere vetrose gialle, verdi, arancio e bianche, le rocce lunari hanno anche permesso di capire che la Luna non è sempre stata il mondo arido che conosciamo. Se le prime analisi dei campioni lunari indicavano che il nostro satellite era essenzialmente privo di acqua, tecniche di analisi sempre più efficienti hanno permesso di scoprire nelle rocce minuscole quantità di acqua nascosta nelle sfere vetrose.
Nel tempo si è scoperto che la concentrazione delle molecole d’acqua e la loro chimica varia a seconda dei tipi di roccia e della loro regione di origine. Le rocce lunari in cui si trovano le microsferule vetrose risultano confrontabili con le pietre del mantello terrestre nelle quali è normale la presenza di acqua.
Altre rocce lunari portate a Terra dalle missioni Apollo sono invece di chiara origine basaltica e sono completamente aride. Questo suggerisce che la distribuzione dell’acqua varia all’interno della Luna e rappresenta un indizio per capire come il nostro satellite si sia formato e come si sia evoluto nel corso del tempo.