Annunciato nel febbraio 2016, il primo segnale della collisione fra due buchi neri aveva prodotto il ‘cinguettio’ di un’onda gravitazionale e adesso analisi ulteriori dimostrano che aveva ragione ad Einstein: i buchi neri, a differenza di quanto ipotizzato finora, non generano attorno a loro filamenti di energia simili a ‘capelli’ . È quanto emerge dallo studio pubblicato sulla rivista Physical Review Letters dal gruppo di astrofisici dell’Università Stony Brook di New York, coordinato da Will Farr, in collaborazione con i colleghi del Mit di Boston e del California Institute of Technology (Caltech).
Secondo quanto ipotizzato finora, i ‘capelli’ dei buchi neri sarebbero forze sconosciute che tengono questi giganti cosmici ‘ancorati’ all’universo. Di queste strutture, però, non c’è traccia nell’analisi delle collisioni tra coppie di buchi neri che scuotono lo spazio-tempo con l’emissione di onde gravitazionali. Aveva, quindi, ragione John Wheeler, il fisico che ha coniato l’espressione ‘buco nero’ per descrivere un oggetto cosmico con un’attrazione gravitazionale talmente intensa che nulla può sfuggire al suo abbraccio, luce compresa. Secondo lo studioso scomparso nel 2008, infatti, ‘un buco nero non ha capelli’, massa e rotazione sono cioè tutto ciò che serve a descriverlo.
Per Farr, i futuri segnali emessi dalle collisioni di buchi neri e captati dai cacciatori di onde gravitazionali Ligo e Virgo, di nuovo in attività dopo un periodo di manutenzione che ne ha migliorato la sensibilità, “permetteranno di studiare in modo sempre più preciso le caratteristiche di questi oggetti esotici del cosmo”.