Le tempeste solari potrebbero essere molto più violente di quella che nel 1859 è passata alla storia per aver prodotto gravissimi danni sulla Terra e aurore boreali visibili anche a Roma. Lo dimostra lo studio delle impronte dell’attività solare lasciate nelle carote di ghiaccio. La ricerca, pubblicata sulla rivista dell’Accademia delle Scienze degli Stati Uniti (Pnas) dall’Università svedese di Lund, accende un nuovo campanello di allarme sulla sorveglianza del meteo solare.
I ricercatori, coordinato da Raimund Muscheler, hanno analizzato campioni di ghiaccio della Groenlandia, che raccontano la storia degli ultimi 100.000 anni del pianeta e hanno trovato in alcuni radionuclidi le impronte di una tempesta solare molto potente avvenuta nel 660 a.C.
“Grazie allo studio di radionuclidi come il berillio-10 e il cloro-36, riusciamo a vedere eventi più lontani e dieci volte più violenti rispetto alle osservazioni dirette con le sonde solari”, ha spiegato all’ANSA il glaciologo Carlo Barbante, dell’Università di Venezia e dell’Istituto per la dinamica dei processi ambientali del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Idpa). “I carotaggi dei ghiacci sono fondamentali per trovare correlazioni tra la storia terrestre e l’attività solare”, rileva Barbante, coordinatore del progetto europeo per il carotaggio di ghiaccio nell’Antartide ‘Beyond Epica’ (European Project for Ice Coring in Antarctica), che dal prossimo giugno perforerà i ghiacci del Polo Sud fino a 2.600 metri a caccia di testimonianze di 1,5 milioni di anni fa.
Le tempeste solari sono rappresentate da una pioggia di particelle a elevata energia scatenata da violente esplosioni sulla superficie della nostra stella e proiettate nello spazio dal vento solare. “L’analisi delle carote di ghiaccio permette di estenderne lo studio a periodi molto più lunghi degli ultimi 70 anni, e di avere così un’idea più precisa della loro frequenza”, ha spiegato all’ANSA il fisico Luciano Anselmo, dell’Istituto di Scienza e Tecnologie dell’Informazione del Cnr (Isti).
“La ricerca in Groenlandia – ha aggiunto – ha permesso, in particolare, di studiare un aspetto delle tempeste solari, quelle che liberano protoni. Particelle – ha concluso Anselmo – che possono danneggiare i satelliti, soprattutto i loro pannelli solari e i componenti elettronici. Nelle missioni sulla Luna, dove ci si spinge all’esterno del guscio protettivo dato dal campo magnetico terrestre, potrebbero rappresentare un pericolo non solo per le sonde lunari, ma per eventuali astronauti a bordo”.