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Ma quale Silicon Valley! Viene dall’Aspromonte il miglior informatico del mondo

Marco Carbone, 41 anni, da 17 vive all’estero, ma è originario di Varapodio, città metropolitana di Reggio Calabria. Ha vinto il “POPL Paper Award”, l’Oscar dell’informatica attribuito alla miglior pubblicazione scientifica

Ha recentemente vinto il “Principle of Programming Languages“, quello che viene considerato l’Oscar dell’informatica.  Si chiama Marco Carbone, è nato 41 anni fa a Varapodio, 35 km da Reggio Calabria, ed è il secondo italiano ad aggiudicarsi questo prestigioso premio (il primo è stato Luca Cardelli, oggi ricercatore nella sede Microsoft di Cambridge).  La sua storia, raccontata da Il Sole 24 ore, è come quella di tanti brillanti studenti, che lasciano il Belpaese e provano a cercare fortuna altrove.

Suo padre lavorava alle Poste, sua madre era un’insegnante e oggi sono entrambi in pensione. L’Italia l’ha lasciata diciassette anni fa, ma la Calabria ancora prima per andare a laurearsi in informatica a Pisa. Un’esperienza Erasmus ad Amsterdam gli ha fatto capire che il suo futuro sarebbe stato al di fuori dei confini nazionali, nei paesi del Nord Europa che tanto ammira, come rivela a Il Sole 24 ore. Dopo il dottorato ad Aarhus, in Daminarca, trova il primo contratto di dottorato e la donna che sarebbe diventata sua moglie. A Londra ha svolto il post dottorato allImperial College e nel 2008, assieme a Kohei Honda e Nobudo Yoshida, ha scritto il paper Multiparty Asyncronous session types, che gli è valso il succitato premio “Most Influential POPL Paper Award 2018”, riconoscimento che viene consegnato a dieci anni di distanza dalla pubblicazione scientifica.
 

Oggi insegna a Copenaghen, dove è responsabile del Master in Computer Science. “Quello che amo di più della Danimarca – racconta Marco –  è che le cose funzionano: e tutto questo senza quella rigidità che si respira per esempio in Germania. I danesi riescono a essere rilassati su molte cose, ma rimanendo efficaci, e spesso efficienti”. Caratteristiche che si riscontrano anche in ambito universitario: nel Nord Europa, infatti, secondo Marco la distanza tra studenti e docenti è pochissima, tanto che “è normalissimo farsi una birra assieme il venerdì sera, magari anche con il rettore”. Un sistema che fa la differenza anche nel saper ispirare “fiducia nei giovani, dando loro responsabilità molto presto, all’inizio della carriera. Inoltre nelle università danesi c’è meno teoria e tanta pratica: si impara facendo progetti insieme, in gruppo; e si interagisce molto a lezione, anche quando si fa matematica pura”.

Ma poi, uscito dalle aule universitarie, l’Italia manca un po’ anche a lui. “In Danimarca è dura riuscire ad interagire con la gente quando esci, a meno che non ci sia una birra in mezzo: in Italia o in California puoi salire sull’autobus e farti una chiacchierata con chiunque, qui no, li metti in imbarazzo”.

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