Sempre piu’ numerosi e indispensabili in ogni ambito, dalla ricerca scientifica alla pubblica amministrazione, fino alla politica, i dati sono la nuova sfida che si potra’ sostenere solo con nuovi professionisti capaci di leggerli e interpretarli: e’ questo lo scenario emerso dalla piu’ grande conferenza italiana su big data e dell’innovazione, alla quale ha partecipato il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e organizzata dall’Universita’ Roma Tre in collaborazione con Maker Faire Rome – The European Edition di Innova Camera.
“Una politica basata sui dati (data-driven) puo’ supportare il processo decisionale, tradizionalmente basato sull’esperienza empirica e su protocolli consolidati, trasformandolo da reattivo a proattivo”, ha detto Conte. “L’azione del governo – ha rilevato – diventa cosi’ ‘informata’ e guidata da processi basati sull’evidenza dei dati, anticipando i bisogni e i trend nel tessuto sociale”.
E’ un cambiamento, ha aggiunto Conte, che “puo’ produrre significativi impatti sui cittadini, sulle imprese, sulla pubblica amministrazione, poiche’ e’ orientato a una maggiore inclusivita’ nel processo decisionale e nella fornitura dei servizi, a una piu’ intensa produttivita’ e, soprattutto, perche’ contribuisce a rinnovare e rafforzare la fiducia nelle istituzioni”. Tra le ricedute positive di questo processo c’e’ anche quello che Conte ha definito un “continuo apprendimento, un monitoraggio intelligente di tutte le fasi del processo della produzione dei dati”.
La direzione in cui si sta andando e’ questa, ma il lavoro da fare e’ ancora molto. L’Italia e’ infatti ancora indietro nel processo di digitalizzazione della pubblica amministrazione, ha detto Luca Attias, commissario straordinario per l’attuazione dell’Agenda digitale. La frammentazione e’ il grande problema, ha rilevato: “nel nostro Paese ci sono da 11.000 a 14.000 data center pubblici, contro le poche decine degli altri Paesi europei.
Ognuna di queste realta’, pero’, si comporta spesso come una monarchia digitale assoluta, senza condividere le proprie informazioni” I dati hanno invece valore se se sono condivisibili e confrontabili. Il problema attuale dei big data, infatti, non e’ tanto la loro quantita’ ma la loro interpretazione, ha osservato il prorettore alla didattica dell’Universita’ Roma Tre, Paolo Atzeni. Un primo passo, ha aggiunto, sarebbe introdurre nei sistemi universitari la figura dello scienziato dei dati, il data scientist, capace di leggerli e governarli.