Era lì, sotto gli occhi di tutti, eppure nessuno finora aveva capito quanto fosse prezioso. E’ il ‘tesoretto’ dell’evoluzione umana, formato da dozzine di geni che potrebbero aver reso unica la nostra specie distinguendola dalle altre. Per anni si è pensato che questi geni avessero una funzione condivisa con tanti altri animali, dallo scimpanzé al moscerino della frutta, ma un’analisi più attenta suggerisce che potrebbero avere un’attività unica e peculiare nell’uomo. A indicarlo è lo studio condotto in Canada, presso il Donnelly Centre dell’Università di Toronto: pubblicato sulla rivista Nature Genetics, evidenzia come i risultati delle ricerche effettuate sugli animali non siano sempre e automaticamente trasferibili sull’uomo.
Questo vale anche per gli scimpanzé, con cui condividiamo quasi il 99% del patrimonio genetico. Secondo la ricerca canadese, infatti, ci sarebbero dozzine di geni che, pur essendo simili, agirebbero in modo diverso. Il loro compito è produrre proteine chiamate ‘fattori di trascrizione’, veri e propri interruttori molecolari che accendono e spengono centinaia di altri geni.
Finora si pensava che fattori di trascrizione strutturalmente simili (formati cioè da una simile sequenza di amminoacidi) si legassero agli stessi punti del Dna accendendo e spegnendo gli stessi geni in specie diverse. Grazie a un nuovo software, i ricercatori canadesi guidati da Timothy Hughes hanno invece capito che basta una minuscola variazione di alcuni amminoacidi chiave (nella regione che va a diretto contatto con il Dna) perché fattori di trascrizione simili vadano ad agire su geni differenti.
“L’evoluzione è insegnare nuovi trucchi a vecchi geni”, commenta Maurizio Casiraghi, zoologo dell’Università di Milano-Bicocca. “Pensiamo a uomo e scimpanzé: la differenza vera e propria tra i due genomi è dell’1,15%, un niente, eppure l’uomo non è peloso e usa il computer. Si è capito molto presto che la differenza tra noi e loro non andava cercata nei geni effettori, ma nei geni regolatori che li fanno lavorare”.
La novità della ricerca canadese sta “nell’utilizzo di un approccio di calcolo che ha permesso di trovare dei fattori di trascrizione putativi che possono far lavorare in modo diverso i genomi, ma si tratta ancora di evidenze indirette”, sottolinea l’esperto. “Ora dobbiamo tornare alla biologia, andare in laboratorio e provare a vedere se in effetti questi fattori di trascrizione sono in grado di modificare lo sviluppo degli organismi. Soltanto allora potremo dire che sono questi geni a ‘fare l’uomo”.
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