La casa dei primi Homo Sapiens era nell’Africa Meridionale, a Sud del fiume Zambesi, e lo è stata per 70.000 anni; era un luogo lussureggiante e i cambiamenti climatici avvenuti dopo quell’epoca hanno aperto corridoi verdi verso altre regioni, innescando le migrazioni. La scoperta, pubblicata sulla rivista Nature, riscrive l’alba dell’uomo moderno ed è stata possibile analizzando il Dna delle popolazioni che vivono oggi in quei luoghi. La ricerca è stata coordinata dal gruppo australiano del Garvan Institute of Medical Research e dell’università di Sydney guidato da Vanessa Hayes . Vi ha preso parte anche l’italiana Benedetta Baldi, che lavora nello stesso istituto di Sidney.
“E’ uno studio bellissimo: circoscrive per la prima volta, e bene, il luogo d’origine dell’uomo moderno ed è coerente con le nostre aspettative”, ha detto all’ANSA Stefano Benazzi, direttore del laboratorio di Osteoarcheologia e Paleoantropologia dell’università di Bologna. Era noto che i primi uomini anatomicamente moderni sono comparsi in Africa circa 200.000 anni fa e analisi genetiche precedenti avevano suggerito che l’area di origine fosse l’Africa meridionale, ma senza individuare l’area precisa.
“Ciò che è stato a lungo dibattuto è il luogo esatto della loro comparsa”, rileva Hayes. La scoperta si è basata sull’analisi del Dna della popolazione che vive oggi in quell’area,. In particolare è stato analizzat il Dna mitocondriale, ossia il materiale genetico che si trova nelle centraline energetiche delle cellule, i mitocondri, e che viene trasmesso solo per via materna. Poiché questo tipo di Dna conserva le tracce dei cambiamenti avvenuti nel corso delle generazioni, permette di risalire a ritroso alle nostre antenate.
In questo modo è stato possibile individuare le tracce genetiche dei primi gruppi di uomini moderni, il cosiddetto lignaggio “L0”. Combinando l’epoca in cui è emerso il lignaggio L0 con la distribuzione geografica di queste popolazioni è emerso che 200.000 anni fa il primo gruppo di Homo sapiens viveva a Sud del fiume Zambesi, nel Botswana settentrionale. Oggi quella regione è arida, ma all’epoca era umida e lussureggiante. Caratteristiche queste,ha rilevato Benazzi, che “inficiano la conservazione dei resti fossili, dicendoci che lì non li troviamo perché non sono riusciti a preservarsi”.
Ricostruire l’ambiente in cui vivevano i primi Sapiens è stato possibile grazie a simulazioni al computer del clima dell’epoca. E’ emerso così che cambiamenti climatici, dovuti all’oscillazione dell’asse terrestre che ha modificato l’incidenza delle radiazioni solari nell’emisfero australe, hanno aperto corridoi verdi nelle regioni precedentemente più aride, portando le popolazioni a migrare prima verso Nord-Est circa 130 mila anni fa, e poi verso Sud-Ovest circa 110 mila anni fa.
Tuttavia, secondo Benazzi, “c’è un unico dato che stride con questa ricostruzione” ed è la scoperta in Israele, pubblicata nel 2018, del frammento di una mascella attribuita all’Homo Sapiens, risalente a 170-180 mila anni. Questo significa, per l’esperto, o che “vi è stato un altro corridoio che si è aperto in precedenza,oppure che quel frammento è appartenuto a un Sapiens più arcaico, come ipotizzano alcuni studiosi”.