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Nobel per la Medicina a Kailin, Ratcliffe e Semenza

William Kailin, Peter Ratcliffe e Gregg Semenza sono i vincitori del Nobel per la Medicina 2019.

Il premio è per la scoperta del modo in cui le cellule utilizzano l’ossigeno. Questo meccanismo ha un’importanza cruciale per mantenere le cellule in buona salute e averlo scoperto ha aperto la strada alla comprensione di molte malattie, prime fra anemia e tumori.

CHI SONO I PREMIATI

Sir Peter J. Ratcliffe, ha 65 anni, nato in Gran Bretagna, a Lancashire nel 1954, ha studiato a Cambridge e poi si è specializzato in nefrologia a Oxford. In questa università ha dato vita a un gruppo di ricerca ed ha avuto una cattedra nel 1996. Attualmente dirige il Centro per la ricerca clinica dell’Istituto Francis Crick di Londra ed è membro dell’Istituto Ludwig per la ricerca sul cancro.

L’americano Gregg L. Semenza, 63 anni, è nato a New York nel 1956 e ha studiato biologia ad Harvard e poi nell’Università della Pennsylvania. Si è specializzato in pediatria nella Duke University e dal 1999 insegna nella Johns Hopkins University, dove dal 2003 dirige il programma sulla ricerca vascolare.

William G. Kaelin, 62 anni, è nato a New York nel 1957 e, dopo gli studi nelle Duke University, si è specializzato in Medicina interna e oncologia nella Johns Hopkins University. Dal 2002 insegna a Harvard.

LA SCOPERTA

Il merito di Kaelin, Ratcliffe e Semenza è nell’avere scoperto il meccanismo molecolare che, all’interno delle cellule, regola l’attività dei geni in risposta al variare dei livelli di ossigeno. Il loro è stato un traguardo inseguito per decenni. La posta in gioco era infatti altissima perché l’ossigeno è l’elemento fondamentale che permette a ogni essere vivente di convertire il cibo in energia, e che è alla base di processi fisiologici fondamentali, dallo sviluppo embrionale alle difese immunitarie.

E’ infatti nella capacità delle cellule di ‘dialogare’ con l’ambiente uno dei segreti della loro capacità di adattarsi, regolando il loro metabolismo e ogni loro funzione fisiologica. Il primo passo in questa direzione risale a 88 anni fa, quando il fisiologo tedesco Otto Warburg dimostrò che la conversione dell’ossigeno in energia dipende da un processo enzimatico, aggiudicandosi il Nobel per la Medicina nel 1931. Un altro passo in avanti è stato fatto dal fisiologo belga Corneille Heymans, Nobel per la Medicina nel 1938, con la scoperta che nella carotide esistono cellule che si comportano come sensori dell’ossigeno.

Le ricerche sono andate avanti negli anni, finché Semenza non ha individuato un altro sensore dei livelli di ossigeno nel gene chiamato Epo e ha dimostrato il suo legame con la carenza di questo elemento (ipossia) con esperimenti su topi geneticamente modificati. Parallelamente il gruppo di Ratcliffe studiava i meccanismi che regolano l’attività del gene Epo ed entrambe le linee di ricerca hanno finito per dimostrare che il gene è presente in tutti i tessuti dell’organismo. E’ cominciata così la caccia agli altri protagonisti che aiutano le cellule ad adattarsi a diversi livelli di ossigeno e, nel 1995, studiando le cellule del fegato, Semenza ha scoperto il fattore che induce l’ipossia (Hif).

A trovare una risposta ulteriore è stato William Kaelin, che studiando una malattia ereditaria ha scoperto il ruolo di un altro gene, chiamato Vhl, capace di aiutare le cellule tumorali a superare l’ipossia. Ricerche successive hanno permesso di ricostruire l’intero processo che regola la risposta delle cellule all’ossigeno, e contemporaneamente hanno lasciato intravedere l’importanza che poter controllare questo meccanismo può avere per capire molti processi fisiologici, come metabolismo, sistema immunitario, sviluppo embrionale, respirazione e adattamento all’alta quota, e per affrontare molte malattie, come anemia, tumori, infarto, ictus, riparazione delle ferite.

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