Riportate in vita con la tecnica della clonazione le cellule del mammut Yuka, vissuto 28.000 anni fa in Siberia e scoperto nel 2010. Isolate da midollo osseo e muscoli dell’animale e trasferite nell’ovocita di un topo, strutture cellulari simili al nucleo sono tornate a essere attive. Pubblicato sulla rivista Science Reports, il risultato si deve ai ricercatori guidati da Akira Iritani della giapponese Kindai University.
I resti del mammut Yuka (fonte: Cyclonaut/Wikimedia Commons/CC BY-SA 4.0)
Per risvegliare le cellule di questo animale, i cui resti si erano conservati quasi intatti nel suolo ghiacciato siberiano, è stata utilizzata una tecnica analoga a quella con cui è stata clonata la pecora Dolly. C’è comunque ancora tanta strada da fare prima di ottenere una rinascita in stile Jurassic Park di questa specie, estinta circa 4.000 anni fa. Né è questo l’obiettivo dei ricercatori, interessati a studiare le caratteristiche e le potenzialità di cellule così antiche.
L’approccio seguito in questa ricerca “può chiarire aspetti della biologia molecolare di base di queste cellule, ma non può portare alla clonazione di un mammut, prima di tutto perché è troppo lontana la parentela tra roditori e mammut”, ha osservato il direttore del Laboratorio di Biologia dello Sviluppo dell’Università di Pavia, Carlo Alberto Redi.
Nell’esperimento i ricercatori hanno estratto le cellule dai resti di Yuka ottenendo 88 nuclei, ossia le strutture nelle quali è racchiuso il Dna; quindi hanno trasferito i nuclei in altrettanti ovociti di topo privati del loro nucleo originario. In questo nuovo ambiente, i nuclei delle cellule del mammut si sono risvegliate, mostrando i segni di attività che precedono la divisione cellulare.
La piena attivazione dei nuclei per la divisione cellulare, e quindi per la formazione di un organismo, non è comunque avvenuta perché i nuclei non erano del tutto integri e questo, hanno rilevato gli autori della ricerca, mostra che è ancora presto per clonare il mammut con questa tecnica e che a tal fine è cruciale isolare cellule meno danneggiate.Tuttavia, concludono i ricercatori, lo studio dimostra che “i nuclei cellulari prelevati dai tessuti del mammut si sono, almeno in parte, conservati anche dopo 28.000 anni e che la loro attività cellulare può ancora essere risvegliata”.