A Roma si confrontano scienziati internazionali per promuovere la ricerca sui sistemi rigenerativi per il sostegno alla vita nello spazio. In futuro gli astronauti si dovranno sostentare da soli
Dall’agricoltura all’economia circolare, le tecnologie spaziali per le future missioni di lunga durata sulla Luna e su Marte potrebbero avere importanti ricadute sulla qualità della vita sulla Terra. Uno dei problemi principali di progetti così impegnativi è l’approvvigionamento degli astronauti; solo per raggiungere il pianeta rosso, su cui l’Agenzia spaziale europea (Esa) conta di far atterrare entro il 2040 il primo volo con equipaggio umano, occorrono sei mesi: tra ossigeno, acqua e cibo, bisognerebbe far viaggiare oltre trenta tonnellate di rifornimenti, con costi elevatissimi. Questi temi saranno al centro di un workshop in programma sino al 18 maggio, dove si confronteranno per la prima volta a Roma i maggiori esperti della comunità scientifica internazionale. Il meeting è organizzato assieme da Agrospace Conference, un’iniziativa della Pmi italiana Arescosmo, e dal progetto Melissa per promuovere la ricerca sui sistemi rigenerativi per il sostegno alla vita nello spazio. Questi sistemi devono permettere di produrre cibo, rigenerare l’atmosfera, recuperare acqua e riciclare tutti gli scarti.
Da 28 anni, l’Esa ha dato vita al progetto Melissa, che studia come sia possibile ricostruire a bordo di una navicella e di una base spaziale un ciclo vitale che permetta la sopravvivenza di uomini con l’aiuto di piante e micro-organismi: elemento chiave è il riuso circolare delle risorse per produrre cibo, acqua pulita e ossigeno.
Nell’appuntamento romano, dove oltre all’Europa, sono rappresentati gli Stati Uniti, il Giappone, la Cina e la Russia, il progetto Melissa e il programma Agrospace si uniscono per implementare la ricerca sui sistemi di sopravvivenza a circuito chiuso.
Sulla Stazione spaziale internazionale, orbitante a “soli” 400 chilometri d’altezza, il cibo è trasportato da terra grazie a dei veicoli cargo che regolarmente riforniscono gli astronauti a bordo (mentre i rifiuti prodotti compiono il percorso inverso e vengono riportati sulla Terra per essere smaltiti). Al contrario, nelle lunghe missioni del futuro l’equipaggio si dovrà auto-sostentare e ci sarà bisogno di coltivare piante senza l’uso del suolo, per tutto l’anno e per gli anni di missione, riciclando acqua e nutrienti. Ciò avverrà attraverso l’uso di serre avanzate i cui primi test sono già in corso in luoghi del pianeta – come le Hawaii e l’Antartide – che presentano condizioni il più possibile simili a quelle presenti sugli altri pianeti. Produrre cibo con un minimo consumo di acqua tramite il controllo ambientale, consentirebbe di rendere coltivabili anche ambienti estremi della Terra, dai deserti ai ghiacciai. In sostanza, si potrà dare vita a un’agricoltura sostenibile, integrando l’uso di energie rinnovabili, e rispondendo alla crescente domanda di cibo unita all’aumento della popolazione mondiale. Un trasferimento di competenze dallo spazio che potrebbe allargarsi presto al mondo della bioeconomia e dell’economia circolare: trasformare i rifiuti organici in cibo, fissare efficientemente l’anidride carbonica, gestire i contaminanti chimici e microbiologici e usare energie rinnovabili, sono i punti cardine di queste ricerche. Molti esperimenti hanno già avuto luogo all’interno della Stazione spaziale internazionale, con risultati estremamente incoraggianti; oggi il progetto Melissa rappresenta l’esempio di economia circolare applicata allo spazio di maggior successo: gli scienziati sono già riusciti a produrre ossigeno, acqua e cibo attraverso il riciclaggio di anidride carbonica e di rifiuti umani.