Sulle Alpi, così come in molte altre parti del mondo, la maggior parte dei ghiacciai fonderanno del tutto entro il 2100: queste icone dei cambiamenti climatici, infatti, contribuiscono già in maniera importante all’innalzamento del livello dei mari e in misura maggiore del previsto: dal 1961 al 2016 i ghiacciai hanno contribuito all’innalzamento del mare con circa 27 millimetri, per un totale di 9 milioni di miliardi. E’ quanto emerge dalla ricerca guidata dall’Università di Zurigo e pubblicato sulla rivista Nature, che ha eseguito nuovi calcoli sulla base deii dati raccolti dai satelliti costellazione Copernicus, di Agenzia Spaziale Europea (Esa) e Commission Europea.
“I ghiacciai rappresentano circa il 5% dei ghiacci sul pianeta, il resto è costituito da Groenlandia e Antartide”, spiega all’ANSA Massimo Frezzotti, ricercatore dell’Enea e presidente del Comitato Glaciologico Italiano (Cgi), i cui dati sono tra quelli utilizzati per lo studio. Tuttavia non è semplice stimare la perdita di massa dei ghiacci e il loro apporto all’innalzamento degli oceani.
“Questa ricerca – aggiunge Frezzotti – offre un aggiornamento e una migliore stima, basati sui rilievi effettuati ogni anno anche dal Cgi per le nostre Alpi”. I ricercatori guidati da Michael Zemp, infatti, hanno utilizzato dati provenienti da 19.000 ghiacciai e hanno stimato i cambiamenti nella loro massa avvenuti tra il 1961 e il 2016: i risultati indicano che hanno provocato un innalzamento del livello dei mari di 27 millimetri.
Contributo regionale dei ghiacciai all’innalzamento dei mari dal 1961 al 2016 (fonte: Zemp et al. 2019, Nature)
In particolare, il periodo tra il 2006 e il 2016 ha contribuito da solo con circa 1 millimetro all’anno. Questo vuol dire che l’apporto dei ghiacciai rappresenta circa il 30% ed è pari più o meno a quello della Groenlandia e dell’Antartide.
“I ghiacciai sono un’importantissima risorsa economica, specialmente nei periodi di siccità” dice il ricercatore italiano. “Ormai è noto a tutti che i ghiacciai alpini si stanno ritirando e che la loro fusione ha accelerato negli ultimi anni. Se le condizioni restano quelle attuali”, conclude Frezzotti, “entro il 2100 probabilmente rimarranno soltanto quelli che si trovano oltre i 3.000 metri di quota”.