Con l’Istituto Astrobiologico Italiano, Iai-Astrobiolab, nasce la rete dei cacciatori italiani di vita aliena, che comprende i laboratori di astrobiologia attivi in Italia per coordinare e favorire la collaborazione e sviluppare tecnologie per cercare Et. “L’astrobiologia è lo studio dell’origine, della persistenza e della presenza della vita nell’universo” dice all’ANSA Raffaele Saladino, presidente della Società Italiana di Astrobiologia (Sia), che ha promosso la fondazione dell’Istituto Astrobiologico Italiano-Rete dei laboratori Nazionali di Astrobiologia.
Saladino, che insegna all’università della Tuscia, presiede anche l’Istituto fino al primo incontro previsto nel 2020, quando saranno definite le strutture di governance.
L’astrobiologia, aggiunge, “coinvolge sia la ricerca fondamentale, che punta a capire come la vita si sia originata sulla Terra e come eventualmente possa essersi originata o potrà originarsi in altri pianeti, sia la ricerca applicata, che parte da queste nozioni di base per progettare gli strumenti innovativi destinati alle missioni spaziali, che cercano tracce di vita su altri pianeti e lune del Sistema Solare”.
Per progettare gli strumenti giusti bisogna infatti sapere cosa si va a cercare perché “alcune molecole hanno più significato di altre per cercare la vita, come quelle chirali, che non possono essere sovrapponibili come la mano destra e sinistra e che hanno un livello di complessità superiore”. Al fine di cercare forme di vita aliene è cruciale la collaborazione fra diverse discipline, dalla fisica, alla biologia sintetica, come quelle di cui si occupano i circa 80 ricercatori dei 14 laboratori coinvolti nell’istituto e che appartengono alle università della Tuscia di Viterbo, Federico II di Napoli, di Roma Sapienza e Tor Vergata, di Torino, di Bologna, di Trento, dell’Aquila, di Parma, Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), Osservatorio di Arcetri dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf).
Questi laboratori sono attivi nei principali settori dell’astrobiologia, come “l’astrochimica – spiega Saladino – che ha il fine di capire i processi chimici nello spazio interstellare dove si accumulano le primissime molecole da cui tutte le altre avranno origine e che poi sono incluse in asteroidi e meteoriti e trasportate sulla Terra e altri corpi celesti”. Altro settore importante è la chimica prebiotica “di cui mi occupo io e che serve a comprendere come i mattoni della vita possono essersi prodotti poco prima del primo organismo vivente”. Poi, aggiunge, “c’è lo studio delle forme di vita che vivono in condizioni estreme, come quelle presenti anche sulla Terra, come il deserto di Atacama e l’Antartide, che sono buoni modelli per cercare eventuali microrganismi su pianeti che hanno queste condizioni”.
Gli esperti coinvolti nel nuovo istituto, spiega Saladino, già partecipano a missioni spaziali, tra le quali Osiris-REx della Nasa che ha raggiunto l’asteroide Bennu per raccogliere campioni da riportare sulla Terra e la missione Exo-Mars, dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa) e dall’Agenzia Spaziale Russa (Roscosmos) che punta cercare forme di vita su Marte con un rover da lanciare nel 2020