C’è un’italiana fra le innovatrici d’Europa. E’ l’italiana Michela Puddu, fra le quattro vincitrici del premio dell’Unione Europea per le Donne Innovatrici, finanziato nell’ambito del programma quadro per la ricerca Ue Horizons 2020. E’ sua l’idea di etichette antifrode fatte di Dna per tracciare i prodotti e svelare, per esempio, se il cotone di una maglietta è davvero biologico o se l’olio d’oliva è davvero ‘made in Italy’.
“Spero che con questo premio, le vincitrici possano a loro volta ispirare molto altre donne a intraprendere attività innovative”, ha detto a Parigi il commissario europeo per la Ricerca, la scienza e l’innovazione, Carlos Moedas, annunciando i nomi delle vincitrici nella conferenza VivaTech, l’evento internazionale dedicato all’innovazione.
Con Puddu, che ha ricevuto 50.000 euro come innovatrice emergente nella classe under 35, sono state premiate con 100.000 euro ciascuna la lituana Irina Borodina, la cui azienda biotech produce in Danimarca feromoni da utilizzare in alternativa ai pesticidi, la francese Martine Caroff, a capo di due aziende biotech specializzate in componenti per vaccini e immunoterapia contro i tumori, l’israeliana Shimrit Perkol-Finkel, la cui azienda è specializzata infrastrutture costiere ecologiche.
“Un grande riconoscimento e una soddisfazione personale, come donna e imprenditrice, che premia tanto lavoro e impegno”: per Michela Puddu, co-fondatrice e amministratrice di Haelixa, spin-off del Politecnico di Zurigo (Eth), essere tra le prime innovatrici europee è un traguardo importante: “le donne imprenditrici sono tante, ma non sempre sono in prima linea sul mercato e sui giornali”, dice all’ANSA. Nata e cresciuta a Roma, dopo aver studiato Scienza dei materiali nell’università di Tor Vergata ha fatto il master nel Politecnico di Zurigo. “Lì ho trovato condizioni ideali per il dottorato e così ho deciso di rimanere. Poi è cominciata la collaborazione con mio socio sulla tecnologia delle etichette al Dna. Giorno dopo giorno realizzavamo il potenziale che questa tecnica aveva e piano piano è cresciuto il desiderio di non lasciarla su un articolo scientifico e di portarla sul mercato”.
Le etichette al Dna si adattano a qualsiasi settore della produzione, dal tessile all’agroalimentare.
“Oggi la maggior parte dei sistemi di tracciabilità è fisicamente distaccata dal prodotto, che siano certificati o codici e barre, fino alla blockchain, e questo può indurre frodi”, osserva Puddu. L’idea, allora è stata quella di utilizzare le quattro lettere alla base del codice della vita per scrivere sequenze di informazione genetica completamente nuove e artificiali, ma che possono essere lette con kit già in commercio e utilizzati per le analisi forense o in quella nella clinica, come in una sorta di ‘test di paternità’ del prodotto, semplice e non distruttivo.
“Sono sequenze di Dna che non hanno significato biologico, ma che rappresentano un produttore o una casa manifatturiera”, spiega Puddu. Una volta rese stabili e incapsulate in particelle sferiche che proteggono il Dna da alterazioni, le etichette al Dna sono completamente trasparenti e vengono nebulizzate sul prodotto in qualsiasi fase della produzione, dalla raccolta della materia prima al manufatto: “in questo modo è possibile ricostruirne tutta la storia e determinare l’autenticità”.
Il Network dei Blogger indipendenti seguici su Telegram: https://t.me/joinchat/DFeCiFjylZNeayjVYLDA6A