avvocatoinprimafila il metodo apf

Il c.d. “Green Pass” è un abominio dal punto di vista legale, costituzionale, normativo

Università di Bari: un altro prof. abbandona. Non mi doterò mai di questo lasciapassare.

L’introduzione ed estensione del “Green Pass” servirà soltanto a fomentare forme di odio e di discriminazione sociale

Di seguito la lettera del prof. Giovanni Antonio Nigro al Magnifico Rettore Prof. S. Bronzini dell’Universita’ degli Studi di Bari Aldo Moro

Alla cortese attenzione del

Magnifico Rettore

Prof. S. Bronzini

Università degli Studi di Bari Aldo Moro

Magnifico Rettore,

Le scrivo per esporle sine ira et studio le ragioni che mi inducono a non dotarmi del c.d. “Green Pass”, il possesso ed esibizione su richiesta è previsto dal D.L. n. 111 del 5 agosto 2021 e costituisce requisito indispensabile per accedere ai locali e alle strutture di codesta Università a decorrere dal 1. settembre 2021. Sono peraltro cosciente e consapevole delle conseguenze derivanti dalla non ottemperanza alla circolare prot. n. 86926 – VII/11 emanata in data 23.08.2021.   

Il c.d. “Green Pass” è un abominio dal punto di vista legale, costituzionale, normativo (è in conflitto con gli artt. 3, 16, 32 della Costituzione Italiana e con il Regolamento U.E. 953/2021, n. 10), carente e confusionario sotto il profilo giuridico, giacché investe Rettori e Direttori di Dipartimento di attribuzioni e competenze non di loro pertinenza. Non solo, è una forma surrettizia di coercizione e adesione forzata alla “campagna vaccinale”, giacché istituisce de facto una pressione indebita su lavoratori (docenti, personale ATA) e studenti universitari, inducendoli a sottoporsi all’inoculazione di un siero genico sperimentale dalla dubbia efficacia nella limitazione dei contagi e delle ospedalizzazioni – tant’è vero che si ventila da più parti la possibile somministrazione di una terza dose – e dagli effetti collaterali ignoti.

Ella mi dirà che esiste l’alternativa dei tamponi: è vero, ma i test sierologici e molecolari sono a pagamento, mentre il “vaccino” è gratuito; quale docente, membro del personale ATA o studente fuorisede può permettersi di effettuare ogni due giorni costosi tamponi rinofaringei per aver accesso ai locali dell’Ateneo? Non mi risulta, inoltre, che nel corso della sua lunga storia l’Ateneo abbia interdetto la fruizione delle sue strutture (aule, biblioteche, uffici, spazi comuni) a studenti, docenti, membri del personale ATA affetti da tubercolosi, epatite, HIV/AIDS o da altre malattie infettive, subordinando l’accesso alla presentazione di un’apposita certificazione sanitaria. Sia chiaro: non sono in alcun modo pregiudizialmente ostile ai vaccini tradizionali, ma mi pongo in maniera critica verso i preparati contro il SARS-CoV-2, tenuto conto che i dati sul numero di casi e sui ricoveri, provenienti da Israele e dal Regno Unito, non sono affatto confortanti.  

L’irruzione del lessico medico nel linguaggio politico non è mai stato un segnale positivo. Tralascio in questa sede i problemi legati alla sicurezza, necessità ed efficacia del “vaccino” (chiamiamolo così, ma sotto il profilo tecnico-scientifico è un siero contenente adenovirus o nanoparticelle lipidiche veicolanti mRNA con le istruzioni per produrre la proteina spike), che pure non sono di poco conto, data la completa ignoranza sull’incidenza di reazioni avverse nel breve, medio e lungo periodo nella popolazione vaccinata, certificata dalle Case Farmaceutiche produttrici dei sieri in questione. L’introduzione ed estensione del “Green Pass” servirà soltanto a fomentare forme di odio e di discriminazione sociale che credevamo essere un retaggio del passato più triste e nefasto di questo Paese e dell’Europa. La stessa validità del “Green Pass” pare essere subordinata a valutazioni di ordine politico piuttosto che medico-sanitario, e si configura come una certificazione di conformità del possessore alle prescrizioni governative, che consente l’esercizio temporaneo, condizionato, revocabile, dei diritti di cittadino/a, descritti e regolamentati dalla Costituzione Italiana.

Da questo punto di vista, il “Green Pass” non differisce in nulla dalle patenti di arianità o dalle tessere di partito in vigore nella Germania nazista e nell’Italia fascista, o dai passaporti interni dell’Unione Sovietica, e si avvicina molto al sistema di credito sociale attualmente in uso nella Repubblica Popolare Cinese. Credevo in buona fede, da ex studente e da docente, che la missione dell’Ateneo di Bari fosse un’altra: quella di plasmare le coscienze e formare le persone al rispetto di libertà e diritti, propri e altrui, al risanamento di situazioni di disagio socio-economico e culturale, al confronto dialettico, all’inclusività verso tutti, a prescindere da censo, razza, sesso, religione e orientamenti politici. Mi avvedo invece che l’Ateneo, nei decenni passati fervente incubatore di cultura, dialogo, di alta formazione scientifica e professionale, negli ultimi anni ha scelto di assumere in toto la prospettiva del “capitalismo degli stakeholder” e di intraprendere un percorso divergente rispetto alla consolidata proposta di crescita umana e intellettuale che ha garantito successo, prestigio e reputazione nazionale e internazionale alla nostra Università.

Non voglia pertanto, Magnifico Rettore, rendersi corresponsabile dei danni biologici e morali eventualmente derivanti dall’induzione all’adesione a una “campagna vaccinale” condotta indiscriminatamente, non suffragata da prove scientifiche della sua efficacia, e soprattutto dell’esclusione di studenti, personale ATA, docenti dalle strutture di codesto Ateneo. Con grande dolore Le rammento che durante il Ventennio l’Ateneo di Bari non annoverò alcun docente che si sia rifiutato di prestare giuramento di fedeltà al regime fascista. In seguito all’emanazione delle leggi razziali, nel 1938, l’Ateneo di Bari (anche in quel caso ottemperando alle disposizioni del Governo allora in carica) espulse professori e studenti di religione ebraica: cito solo i nomi di Ladislao Brüll, Bruno Foà, Renzo Fubini e Giorgio Tesoro, le cui storie sono state ricostruite dalle ricerche di V. A. Leuzzi, D. Hoxha e F. Mastroberti.

Ella mi obietterà che viviamo in una Repubblica democratica: ebbene, a mio modesto avviso, il ruolo del docente universitario è riconoscere e denunciare ogni pretesa di totalitarismo nascente, sotto qualsiasi forma si presenti, e combattere ogni discriminazione ed esclusione, fondata su criteri biologico-razziali, politici o pseudo-scientifici, nei limiti consentiti dalla legge, dalla coscienza e dalle possibilità materiali di ciascuno. A questo compito tento di adempiere quotidianamente secondo le mie forze, con lo sguardo rivolto agli ideali di libertà e democrazia e agli elevati esempi di dirittura morale prodotti da questa Università, non ultimo l’on. Aldo Moro, cui il nostro Ateneo è intitolato“.

Con osservanza.

Dott. Giovanni Antonio Nigro

 

FONTE

Exit mobile version