Il racconto di Emanuele, studente del liceo classico ‘Pilo Albertelli’ di Roma.
Il brivido dell’ultima campanella che suona, il rito dei festeggiamenti fuori dai cancelli, il saluto ai luoghi e alle persone che hanno accompagnato l’adolescenza di ogni studente. Per i maturandi del 2020, questi momenti non ci saranno. Sembra ormai definitiva, infatti, la decisione di non riaprire le scuole prima di settembre, con l’esame di stato ridotto alla sola prova orale. Ma gli studenti non si arrendono e chiedono di poter rientrare a scuola almeno quel giorno, per lo svolgimento della prova più importante della loro vita.
“Ci rifiutiamo di credere che il nostro ultimo anno scolastico sia finito così bruscamente dopo un lungo cammino, e non meriterebbe una fine così ingiusta e disonorevole- scrive Emanuele, studente del liceo classico ‘Pilo Albertelli’ di Roma, in una lunga lettera- Potremo rivedere i nostri banchi in qualità di studenti, un’ultima volta, il giorno del nostro esame? O saremo costretti a fare una maturità digitale? È un pensiero che mi angoscia, quello che al posto di uscire dalla classe accolto dai miei amici come un vincitore, dica a mamma e papà: ‘Oh io entro in camera, faccio la maturità e ci rivediamo in soggiorno’. È il mio incubo. Vi prego, non così”.
Nel testo Emanuele ripercorre la prima fase di diffusione del contagio, che nel suo racconto si intreccia con l’organizzazione dei 100 giorni. Un fine settimana in un casale in Toscana, a due passi dal mare. Un altro appuntamento saltato, come rischia di saltare anche il viaggio estivo della maturità. Niente Grecia, Ibiza o Interrail
“il coronavirus ci sta portando via anche questa. In tv e sui giornali già si parla di scordarsi l’estate 2020, tra distanziamenti sociali e persino lettini separati da barriere di plexiglass”.
Ma la preoccupazione principale di Emanuele resta il dolore per non aver potuto vivere l’ultima lezione da studente.
“Non vi perdonerei mai se l’ultimo giorno di scuola della mia vita dovesse essere un anonimo venerdì 28 febbraio. Manco mi avete avvisato. Non mi avete nemmeno dato il tempo di salutare compagni, professori, bidelli, le mura della mia scuola– scrive il giovane studente- il caso ha voluto che nel weekend il sottoscritto si dovesse prendere la febbre, e che dunque saltasse anche gli ultimi giorni di compagnia; se ci ripenso mi mangio le mani. Sono un tipo abbastanza nostalgico, per cui già negli ultimi mesi sapevo che il mio liceo, il classico ‘Pilo Albertelli’ di Roma, mi sarebbe mancato da morire; per questo motivo stavo provando a godermi ogni istante, cercando di accettare che sarebbe dovuto arrivare il momento dell’addio, in cui il mio amico Pilo avrebbe dovuto lasciare la mia mano. O forse io avrei dovuto lasciare la sua”.