Noura Hussein a 13 anni voleva studiare e diventare insegnante, invece è stata costretta con l’inganno a sposare l’uomo che l’ha stuprata e lei ha ucciso per difendersi. Adesso le donne musulmane e tutto il mondo lottano per evitarle l’impiccagione
La vicenda è perfettamente sintetizzata sul Guardian dall’attivista sudanese Yassmin Abdel-Magied: “Una teenager ha ucciso il suo violentatore, e le donne musulmane lottano per la sua vita”.
Noura Hussein aveva 13 anni quando i genitori l’hanno promessa in moglie a un cugino di secondo grado con il doppio dei suoi anni. Grazie all’intervento di una zia, alla quale la ragazzina aveva chiesto aiuto, è riuscita a ritardare di tre anni il compimento del suo destino. Tornata a casa con l’inganno “il matrimonio è cosa morta”, Noura è costretta a sposarsi: viene consegnata al suo carnefice dalla sua stessa famiglia.
La prima volta viene violentata dall’uomo con l’aiuto dei suoi familiari, chiamati a verificare che da quel momento fossero marito e moglie anche di fatto. Al reiterarsi delle violenze, la sedicenne si difende pugnalando a morte il “consorte”.
In Sudan è legale sposarsi a 10 anni ed è consentito violentare la propria moglie. Lo decreta l’articolo 91 della Legge sulla famiglia
Noura oggi ha 19 anni e giovedì 10 maggio un tribunale di Omdurman, città gemella della capitale Khartoum sull’altra sponda del Nilo, l’ha condannata all’impiccagione per aver ucciso il suo stupratore. Il suo caso ha infiammato un’incredibile mobilitazione internazionale, con campagne social per salvare la sposa bambina.
#JusticeForNoura. Quando il giudice legge la sentenza, la famiglia di Noura non c’è: dopo averla consegnata prima al suo aguzzino, poi alla polizia, ora è scappata per paura di rappresaglie. Però, a sostenere la ragazza in aula, ci sono le donne sudanesi.
La notizia della condanna fa il giro del mondo e su Internet prende ancora più forza la campagna #JusticeForNoura e #SaveNoura, animata anche da donne musulmane. In migliaia hanno già firmato la petizione su change.org, chiedendo la scarcerazione della ragazza. Molte le associazioni internazionali insorte a difesa di Noura, tra cui Amnesty International, che punta il dito contro un Paese che ancora non ritiene reato lo stupro coniugale. Anche la giornalista Yousra Elbagir, che vive nella capitale Khartoum, replica via Twitter a quanti usano la legge islamica come giustificazione semplicistica: “Nell’Islam il matrimonio forzato è illegittimo”.
Intanto i parenti del marito festeggiano la sua condanna a morte e non ne hanno voluto sapere di accettare la deya, compensazione economica possibile in questi casi. Hanno rifiutato l’offerta, che sarebbe stata a carico delle ong per i diritti umani: non vogliono soldi, ma l’impiccagione della moglie che osato ribellarsi a un’infame tradizione culturale. “Justice for Noura”, appunto. Al contrario, però.
Ricorso contro la sentenza di morte. “Gli avvocati, Adil Mohamed Al-Imam e Mohaned Mustafa Alnour, hanno già presentato ricorso contro la sentenza“, dichiara Antonella Napoli, presidente di Italians for Darfur che lancia un appello per salvare la giovane rinchiusa nella prigione femminile di Omdurman. “Lei è devastata. Loro non si aspettavano la condanna a morte. Se il ricorso non venisse accolto, Noura finirà sul patibolo per essere impiccata” ha sottolineato Napoli, in contatto diretto con i legali della ragazza.
Il caso di Noura non è isolato in Sudan, ma è la prima volta che la storia di una delle tante spose bambine ha un’eco internazionale. “Lo stupro da parte del coniuge è una violenza ricorrente in questo Paese ma non se parla mai“, spiega Ahmed Elzobier, ricercatore di Amnesty International.
L’ultima parola adesso spetta ai giudici. “Giovedì un tribunale di Omdurman ha condannato a morte Noura per aver ucciso il suo stupratore – si legge nella petizione lanciata da Italians for Darfur su change.org Italia – Raccogliamo quante più firme possibile da inviare al presidente del Sudan Omar Hassan al Bashir per chiedere la grazia e l’immediata liberazione“.