Il Comune di Azzate, Varese, mercoledì 23 novembre alle ore 20.30, ospita Marco Termenana autore del libro “Mio figlio. L’amore che non ho fatto in tempo a dirgli“, presso la Sala Consiliare in via Castellani 1.
Introduce il Sindaco Gianmario Bernasconi coadiuvato dall’Assessore alla Cultura Enzo Vignola e dal Consigliere Comunale Dottoressa Claudia Miterangelis.
Modera Roberta Bertolini giornalista di “Varesenews”.
L’iniziativa, oltre a ricevere il sostegno della Pro Loco, è anche sostenuta da tre Associazioni di genitori, “Insieme per la Scuola”, “Genitori Scuola dell’Infanzia” e “Scuola Primaria”.
Presenti nell’organizzazione dell’evento e quindi proprio alla serata stessa, anche gli psicologi dello “Sportello Delfino” del Piano di Zona, sezione di Azzate, Dottor Paolo Arru e Dottoressa Chiara Odobez, cioè gli psicologi dello Sportello Ascolto di Azzate finalizzato proprio alla prevenzione del disagio giovanile (il Piano di Zona -PdZ – è infatti una rete di servizi in ambito sociale e sociosanitaria per l’integrazione delle politiche locali e nell’ambito territoriale di Azzate conta 13 comuni: Azzate, Brunello, Buguggiate, Carnago, Caronno Varesino, Casale Litta, Castronno, Crosio della Valle, Daverio, Gazzada Schianno, Morazzone, Mornago, Sumirago).
Oltre che la presentazione di un libro, l’incontro, come già si comprende dal numero e dal tipo di organizzatori, vuole essere un momento di riflessione tra l’autore e tutti quegli adulti che, in vari ruoli (genitori, nonni, educatori, insegnanti, psicologi e amministratori pubblici) mettono al centro l’educazione delle giovani generazioni, alla luce della dolorosa testimonianza narrata.
Chi è Marco Termenana?
Con lo pseudonimo di El Grinta, sullo stesso argomento, ha già pubblicato “Giuseppe”. I romanzi sono ispirati al suicidio di Giuseppe, il figlio ventunenne (il primo di tre), quando in una notte di marzo 2014 apre la finestra della sua camera, all’ottavo piano di un palazzo a Milano, e si lancia nel vuoto.
Senza mai cadere nella retorica, la storia racconta il (mal) vivere di chi si è sentito sin dall’adolescenza intrappolato nel proprio corpo: la storia di Giuseppe è infatti anche la storia di Noemi, alter ego femminile, che assume contorni definiti nella vita dei genitori solo nel momento in cui si toglie la vita.
Tragedia non solo di mancata transessualità ma anche di mortale isolamento, al secolo hikikomori, malattia consistente nella scelta di rifuggire totalmente dalla vita sociale e familiare.
“Mio figlio” sta ricevendo un forte plauso dalla critica letteraria di tutta Italia e proprio il mese scorso ha festeggiato il trentunesimo riconoscimento in sedici mesi, ma perché ospitare un salernitano naturalizzato milanese nel Varesotto?
Ce lo dice Claudia Miterangelis che fortemente ha voluto questo evento:
“Non è una questione di campanile. Il libro, di fatto, si pone l’obiettivo di migliorare il dialogo genitori/figli e di entrare soprattutto in quelle famiglie in cui ci sono casi di hikikomori, dove almeno parlarne può dare un po’ di sollievo.
L’autore stesso ribadisce che, al di là degli attestati e dei riconoscimenti, tramite la sua diffusione, ha intrapreso una lunga e impegnativa battaglia per evitare che altri genitori si possano ritrovare nel dolore in cui è precipitato a causa del gesto estremo compiuto da Giuseppe.
Per questo, come amministratori pubblici abbiamo sentito la responsabilità di sostenere questa iniziativa a favore del nostro territorio”.
Bello constatare che quando si tratta di figli, ancora meglio di valori che li riguardano, non esistono campanili ed il linguaggio universale dell’amore di un papà diventa un tornado inarrestabile che avvolge e coinvolge tutti.