Roma – Questa volta a raccontare la storia e’ M. un “nonno coraggio” della provincia di Lecce, che ha contattato la redazione DireDonne e il Comitato “Madri contro la violenza istituzionale” per raccontare quanto vive suo nipote, Paolo (nome di fantasia), un bimbo di 6 anni, “costretto a vedere il padre che – ha detto M.- e’ un uomo che ha tentato il suicidio nel 2017 con una intossicazione di sostanze su cui la CTU non ha mai indagato. Giorni e diritti di visita sul suo affidamento sono stati stabiliti dal Tribunale di Lecce che ha decretato un affido congiunto e il 5 ottobre avremo una nuova udienza. CTU e servizi sociali decisero senza alcuna gradualità, quando mio nipote aveva solo 3 anni e mezzo – ha raccontato – che dovesse andare con il padre, nonostante i grandi problemi che c’erano in quella casa, mentre mia figlia sarebbe secondo loro “una mamma morbosa e fragile“.
Il bambino – ha raccontato il nonno – “viene lasciato dal padre a casa dei nonni paterni, e quando fa ritorno da noi e’ quasi sempre emaciato, ha malessere, impellenza di andare in bagno, di mangiare e bere e racconta delle liti che ci sono tra nonna paterna e padre. Un conflitto che spesso sfocia in litigi violenti a cui lui assiste e che racconta”.
M. che vive con sua moglie, sua figlia e il piccolo Paolo ha spiegato: “Il piccolo e’ costretto a vederlo ogni fine settimana, dal giovedi al lunedi mattina. Le assistenti sociali del comune di Galatina lo hanno deciso insieme alla CTU, 3 anni fa, senza alcuna gradualita’, soprattutto senza indagare sul padre e scrivendo di ‘eccessiva attenzione’ da parte di mia figlia ed equiparando i due ‘genitori come fragili’. Siamo spaventati per il piccolo. Le cartelle cliniche sul padre del giugno 2017 presso l’ospedale di Galatina – ha fatto sapere M.- non sono mai state chieste dalle assistenti sociali e non mi risulta che la Ctu le abbia visionate. Lo ha fatto il nostro avvocato, chiedendo anche gli esami tossicologici. I medici gli consigliarono visite psichiatriche e Sert”.
La Consulente in questione peraltro cita nella sua relazione la professoressa Malagoli Togliatti, a proposito di madri protettive: “Ci sono donne che hanno avuto madri iperprotettive, dalle quali hanno ‘ereditato’ un modello di comportamento ‘totalizzante’, le quali si ritengono le uniche in grado di capire il bambino, le uniche destinate al dialogo con lui, le uniche destinate a ‘salvarlo’ dai pericoli del mondo. Se queste donne ‘esagerano’ a lungo in tali comportamenti possono inibire nel figlio la possibilita’ di esplorare il mondo ovvero i rapporti sociali’. Questo e’ l’orizzonte teorico in cui ci si muove anche in questo caso. La CTU riporta anche di ‘positivi riscontri del referto ospedaliero e certificazione dello psichiatra’. “Quindi problemi di ordine psichiatrico ci sono?- ha detto il nonno – E chi monitora su questo? Nessuno ne parla”.
M. ha raccontato anche di “una brava educatrice che aveva iniziato ad occuparsi del caso- a dicembre 2019- e aveva relazionato contro la famiglia paterna di mio nipote Paolo. Questa educatrice si e’ dimessa o credo sia stata costretta a dimettersi e solo qualche giorno fa e’ stata convocata dalle assistenti sociali un’altra riunione sul caso con il padre del bambino, senza mia figlia”.
Amareggiato questo nonno ha concluso: “Non si preoccupano dei diritti dei bambini, se subiscono traumi, della loro salute fisica e psichica. Dietro a queste azioni c’e’ una cultura e una
politica misogina e malvagia, di avversione contro le madri e una sgangherata legge 54 sulla bigenitorialita’. Auspico che anche in questa parte d’Italia, con il mio racconto, si possa, finalmente, aprire quello scrigno di sofferenze, segreti ed angosce, per molti decenni occultato. Taciuto da troppa omerta’, per paura di ritorsioni e vendette contro le famiglie”.