“E bastava una inutile carezza a capovolgere il mondo” ammonisce poeticamente Alda Merini.
Bisogna assolutamente evitare ogni contatto col male e se “ti tocca” vieni allontanato e isolato: lo prescriveva l’antica legge di Mosè riguardo alla lebbra e oggi ci ritroviamo nella medesima situazione col covid.
Ci stiamo accorgendo psicologicamente e emotivamente che se ora ci sentiamo forti per affrontare un pugno in più, non siamo mai stati pronti per reggere una carezza in meno.
Ma non diamo tutte le colpe al Covid perché spesso è stato solo uno specchio della realtà: con l’evoluzione del “touch”, l’accarezzare schermi digitali è diventato inversamente proporzionale a accarezzare volti: sempre più “connessi” sempre meno “in contatto”.
“E bastava una inutile carezza a capovolgere il mondo”. La carezza è il gesto d’amore più intenso di tutti. È più implicante di un abbraccio: ti sbilancia, con un abbraccio invece ricevi anche, la carezza è solo dono.
Così un bacio è una intenzione, implica un coinvolgimento, la carezza invece è solo attenzione, è il tatto dell’anima. Si può arrivare a fare sesso senza amore, ma nessuno riesce ad accarezzare senza cuore: ci si accorgerebbe che è solo uno sfiorare ruvido.
“E bastava una inutile carezza a capovolgere il mondo”.
Abbiamo bisogno di una cura di vitamina C, ma C di carezze! Diventa significativo pensarlo in questo 14 febbraio, nella festa degli innamorati (il tradizionale San Valentino).
Questa “vitamina C” la si trova soprattutto in quella carezza che non è solo un gesto, ma è un atteggiamento interiore:
C come… costanza, condivisione, correttezza, coerenza, calma;
C come… carineria, cortesia, calore, coccole, complimenti;
C come… comprensione, chiarezza, complicità, cura, carità…
E ognuno può continuare cercando le “sue” vitamine C
(soprattutto quelle che si offrono, più che quelle attese).
“E bastava una inutile carezza a capovolgere il mondo”.
Non basta dire “ti amo” perché sia vero, serve quella carezza
che è la voglia di ascoltare e lo sforzo di capire,
che è lo stare accanto nel dolore anche in silenzio,
che è il difendere facendosi sentire alleati dalla stessa parte,
che è il sorridere sulle fatiche perché condivise,
che è lo sgonfiare le proprie pretese, mettendosi in discussione,
che è la sorpresa che rompe il vortice del solito che trita tutto,
che è la densità di gesti piccoli, non scontati e non dovuti.
Le parole ci dicono che siamo amati, ma solo queste carezze ci dimostrano quanto siamo amati. Un gesto, come una carezza, parla più forte delle parole. Nel Vangelo Gesù dice al lebbroso: non dire niente a nessuno,
parlerà la tua vita guarita, purificata, accarezzata, amata.
San Francesco d’Assisi diceva ai frati: “Annunciate il Vangelo e solo se proprio fosse necessario, anche con le parole”. San Francesco di Sales similmente insegnava: “Non parlare di Dio a chi non te lo chiede, ma vivi in modo tale che prima o poi te lo chieda”.
Lo stile del Dio di Gesù Cristo è la filosofia della carezza: donare agli altri le stesse attenzioni che desideriamo per noi. “Fai agli altri quello che vuoi sia fatto a te”, dice Gesù. Noi l’abbiamo disinnescato ribaltando la frase in autodifesa:
“NON fare agli altri quello che NON vuoi sia fatto a te”. Ma è totalmente diverso, è l’anti-carezza, è l’anti-Vangelo Se ora ci crediamo forti per affrontare pugni in più, non saremo mai pronti per reggere una carezza in meno.
Dobbiamo proprio dare retta alla poetessa Alda Merini: basta una inutile carezza a capovolgere il mondo.