Dai dati diffusi da Save the Children, emergono notevoli differenze tra regioni del Nord, sempre più virtuose a parte poche eccezioni, e quelle del Sud, che invece sono troppo spesso carenti di servizi e di sostegno alla maternità
Un tasso di disoccupazione delle donne, e in particolare delle madri, tra i più alti in Europa, discriminazioni radicate nel mondo del lavoro, forte squilibrio nei carichi familiari tra madri e padri, poche possibilità di conciliare gli impegni domestici con il lavoro, a partire dalla scarsissima offerta di servizi educativi per l’infanzia.
Elaborata dall’Istat per Save the Children, la statistica misura, attraverso undici indicatori, la condizione delle madri rispetto alle tre diverse dimensioni della cura, del lavoro e dei servizi, dove il miglioramento di una dimensione può essere strettamente correlato al miglioramento delle altre. Inoltre, quest’anno, l’indice evidenzia anche i principali mutamenti che hanno interessato la condizione delle madri dal 2004 a oggi e gli eventuali miglioramenti o peggioramenti nei diversi contesti territoriali.
Dai dati diffusi da Save the Children, l’organizzazione internazionale dedicata dal 1919 lotta per salvare la vita dei bambini e garantirgli un futuro, emergono notevoli differenze tra regioni del Nord, sempre più virtuose a parte poche eccezioni, e quelle del Sud, troppo spesso carenti di servizi e di sostegno alla maternità. In linea di massima, però, la ricerca sottolinea un peggioramento generale dell’Italia per quanto riguarda l’accoglienza dei nuovi nati e il sostegno alle loro mamme.
Negli anni, la classifica delle regioni non subisce delle variazioni sostanziali, con le Province autonome di Bolzano e Trento rispettivamente al primo e secondo posto seguite da Valle D’Aosta (3° posto), Emilia-Romagna (4°), Friuli-Venezia Giulia (5°) e Piemonte (6°).
Bolzano e Trento non solo conservano negli anni il primato, ma registrano miglioramenti. Emblematico, al contrario, il caso dell’Emilia-Romagna che passa da una prima posizione nel 2008 a una quarta nel 2018. Tra le regioni del Mezzogiorno fanalino di coda della classifica, la Campania risulta peggiore regione “mother friendly” e perde due posizioni rispetto al 2008, preceduta da Sicilia (20° posto), Calabria (che pur attestandosi al 19° posto guadagna due posizioni rispetto al 2008), Puglia (18°) e Basilicata (17°).
“L’indice sulla condizione delle madri che presentiamo grazie alla collaborazione con Istat non dev’essere solo uno strumento di analisi, ma la base di un effettivo impegno da parte delle istituzioni ad ogni livello. È inammissibile che in un Paese come il nostro, dove il numero di nuovi nati è in costante diminuzione, si riservi così poca attenzione, al di là della retorica, alla maternità e che le mamme debbano affrontare in solitudine continui ostacoli legati alla cura dei figli così come alla conciliazione della vita familiare e professionale. Sappiamo che i primi “mille giorni” dei bambini sono fondamentali per la crescita, eppure proprio in questo periodo così decisivo manca l’assunzione di responsabilità pubblica. Occorre scardinare questo circolo vizioso” dice Raffaela Milano, Direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children.
Un’Italia a due velocità tra cura, lavoro e servizi per l’infanzia
Il divario Nord-Sud è evidenziato dall’Indice delle Madri di Save the Children anche nelle tre singole aree di indicatori prese in esame per ciascuna regione: cura, lavoro e servizi per l’infanzia.
La cura. La prima area, quella della cura, mostra discreti miglioramenti per tutte le regioni almeno fino al 2012. Le Province autonome di Trento e Bolzano mantengono il loro primato seguite da Lombardia (3° posto), Piemonte (4°), Emilia-Romagna (5°) e Veneto (6°). La Basilicata è la peggiore performer per quanto riguarda l’area della cura preceduta da Puglia (20° posto), Abruzzo (che crolla al 19° posto rispetto al 14° dell’Indice Generale) e la Sardegna (che perde tre punti attestandosi alla 18° posizione). Da sottolineare i casi della Sicilia che nell’Indice della Cura occupa l’11° posto e non più le ultime posizioni e della Campania che occupa il 16° posto.
Dopo il 2008, tutte le regioni hanno risentito dell’abbassamento del tasso di fecondità registrato in tutta Italia. Il numero medio di figli per donna, pari oggi a 1,34, torna ai livelli del 2004, dopo aver raggiunto il suo massimo di 1,46 figli nel 2009. Il risultato positivo che si consegue in questo indicatore si deve prevalentemente a un significativo miglioramento dell’indice di asimmetria del lavoro familiare che per la prima volta, per le coppie che vivono in Italia, scende sotto il 70%.
Il lavoro femminile. La seconda area riguarda il lavoro femminile. Anche qui le Province autonome di Trento e Bolzano si confermano al primo e al secondo posto, seguite da Valle d’Aosta (3° posto), Lombardia (4°), Emilia-Romagna (5°) e Veneto che passa dall’8° posto nel 2012 al 6°. La Sicilia fanalino di coda è preceduta da Campania (20° posto), Calabria (19°), Puglia (18°) e Basilicata(17°).
Tra il 2004 e il 2017, i dati evidenziano un netto peggioramento per la stragrande maggioranza delle regioni. Dopo un periodo di crescita registrata fino al 2008 si può infatti vedere, in termini di caduta dell’indice, tra il 2008 e il 2012 l’impatto iniziale della crisi cui segue l’ulteriore forte recessione tra il 2012 e il 2017. Osservando i singoli indicatori il tasso di occupazione decresce vistosamente per le giovani con età compresa tra 25 e 34 anni (-6 pp.), aumenta lievemente per le donne 35-44enni (+0,9 pp.) e registra incrementi maggiori (+7,1 pp.) per le donne nell’ultima classe di età considerata di 45-54 anni. Circa un terzo delle donne che non ha mai lavorato e neanche tentare di trovare un lavoro è costituito da mamme, e tra i motivi più frequenti dell’impossibilità di una ricerca di un impiego vi sono quelli familiari.
I servizi. L’ultima area, quella che riguarda i servizi, permette di esaminare la competitività territoriale delle nostre regioni rispetto ai principali servizi educativi per l’infanzia.
Ancora una volta, la provincia di Trento si attesta al primo posto, seconda la Valle d’Aosta seguite da Friuli-Venezia Giulia (3° posto), Toscana (4°), Marche (5°). Per quanto riguarda i servizi, è il Lazio che si attesta all’ultimo posto preceduto da Sicilia (20°posto), Calabria (19°), Campania (18°) e Basilicata (17°).
I bambini sotto i tre anni accolti in servizi comunali o finanziati dai comuni variano dal 18,3% del Centro al 4,1% del Sud[6]. I divari territoriali fra il Mezzogiorno e il resto del paese sono enormi: nel Nord-Est e nel Centro Italia i posti censiti nelle strutture pubbliche e private coprono il 30% dei bambini sotto i 3 anni, al Nord-Ovest il 27% mentre al Sud e nelle Isole si hanno rispettivamente 10 e 14 posti per cento bambini residenti.