Essere giovani in Italia significa oggi far parte di una minoranza, una minoranza non tutelata. E come tale subisce discriminazioni, soprattutto in una fase storica in cui la politica nazionale cavalca i plebisciti della masse.
Due giovani italiani su tre ritengono che chi oggi studia o inizia a lavorare occuperà in futuro una posizione sociale ed economica peggiore rispetto alla precedente generazione: la delusione e la mancanza di prospettiva in cui sta affondando un intero Paese stanno tutte in un singolo dato, tra i molti appena messi in fila dal sondaggio condotto (dal 2 al 6 settembre 2018) per l’ong Oxfam Italia dall’Istituto Demopolis.
L’indagine ha coinvolto oltre mille intervistati, tutti tra i 18 ed i 34 anni: appena il 12% di loro ipotizza per sé prospettive sociali ed economiche migliori rispetto a quelle dei genitori. Al contrario, il 72% degli intervistati sostiene che le disuguaglianze siano cresciute in Italia nell’ultimo quinquennio, e la gran parte riconosce che la parte peggiore è toccata proprio ai giovani. Non a caso, dunque, 8 su 10 rilevano oggi un’accentuata disuguaglianza intergenerazionale in Italia.
“L’ascensore sociale” è fuori uso in Italia, e non si tratta solo di una percezione. L’ultima indagine Bankitalia sui bilanci della famiglie italiane certifica che è aumentata la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi, ma anche la quota di individui a rischio di povertà: l’incidenza di questa condizione interessa soprattutto le famiglie giovani e, nell’analisi comparativa 2006-2016, è aumentata nei segmenti di popolazione under 35 ed under 45, mentre si è ridotta fra gli over 65 e fra i pensionati in genere. Lo stesso mostrano i dati Istat, mentre in fatto di millennials, lavoro povero e pensioni anche Censis e Confcooperative parlano di “una bomba sociale da disinnescare con urgenza”.
E i giovani lo sanno, sembrano essere coscienti della trappola in cui le generazioni precedenti li hanno costretti. L’indagine promossa da Oxfam mette a fuoco fenomeni di “discriminazione tra generazioni”: esistono oltre 3 milioni di Neet (giovani che non studiano né lavorano) fra i 18 ed i 34 anni, che hanno assunto un atteggiamento rinunciatario rispetto alle prospettive di lavoro e apprendimento. A costoro si aggiungono i milioni di giovani che un lavoro lo fanno effettivamente, ma a rendimento economico troppo ridotto, disciplinato spesso da formule contrattuali lontane dal lavoro standard. Verificando le frequenze dei fenomeni analizzati, si segnala che la dimensione generazionale ha una crescente importanza nel “conflitto distributivo” e pesa, talora, più delle tradizionali classificazioni (titolo di studi, area di residenza, genere).
In questo scenario, 2 giovani su 3 vorrebbero che le politiche mirate a ridurre le disuguaglianze divenissero prioritarie nell’agenda di Governo. Ma essere giovani in Italia significa oggi far parte di una minoranza, una minoranza non tutelata. E come tale subire discriminazioni, soprattutto in una fase storica dove la politica nazionale cavalca i plebisciti della masse e bullizza chi non vi si allinea.
Il sondaggio Oxfam rappresenta al contrario un itinerario di ascolto di una generazione intera che tenta di realizzarsi nella vita e nel lavoro e che, fra incertezza occupazionale e tutele sociali ridimensionate, è indotta a vivere “al presente”, con una dinamica che si dimostra meccanismo di difesa ma anche di adattamento. Forse fino a sfiorare l’assuefazione. La percezione di “urgenza” dei giovani su politiche finalizzate a ridurre le disuguaglianze presenti oggi in Italia esiste, ma potrebbe essere corroborata: il 67% dei giovani le ritiene prioritarie ed urgenti per il nostro Paese, a fronte di un dato nazionale comprensivo di tutte le fasce d’età che – negli anni passati – ha sfiorato l’80%. Si tratta di un pericolo per l’intero Paese, e non solo per i pochi giovani rimasti.
(Green Report)