Ogni anno circa 550.000 persone hanno bisogno di cure palliative e oltre 180.000 manifestano anche bisogni complessi con necessità di vere e proprie équipe multispecialistiche nei diversi luoghi di cura: dall’ospedale agli hospice, dalle strutture residenziali a domicilio.
In questa organizzazione gli infermieri sono essenziali: nell’assistenza domiciliare, su una media di 25 ore di assistenza per paziente terminale nel 2022, secondo gli ultimi dati pubblicati dal ministero della Salute, 17 sono svolte dagli infermieri che sono anche quelli più presenti a fianco degli assistiti come numero di accessi per caso (quasi 20 contro una media di 6-7 degli altri operatori).
Anche il Codice deontologico degli infermieri parla chiaro in questo senso. Nelle cure palliative: “L’infermiere presta assistenza infermieristica fino al termine della vita della persona assistita. Riconosce l’importanza del gesto assistenziale, della pianificazione condivisa delle cure, della palliazione, del conforto ambientale, fisico, psicologico, relazionale e spirituale. L’infermiere sostiene i familiari e le persone di riferimento della persona assistita nell’evoluzione finale della malattia, nel momento della perdita e nella fase di elaborazione del lutto”.
Ma gli infermieri, che mancano in assoluto nel panorama nazionale, sono ancora meno nel settore delle cure palliative: secondo l’ultima rilevazione di marzo 2024 della Società Italiana di Cure Palliative (SICP, di cui fanno parte medici e infermieri), sono attivi in questo tipo di assistenza circa 1.500 professionisti, mentre di infermieri ne servirebbero almeno 4.550: una carenza di 3.050 unità. E nei 230 hospice presenti in Italia, ne mancano circa 600.
La legge di Bilancio 2023 ha prescritto di arrivare al 2028 con una copertura dell’assistenza domiciliare del 90% della popolazione interessata: “Un risultato sfidante e non impossibile”, secondo la FNOPI.
“Per aumentare il livello dell’assistenza dal punto di vista della qualità, clinico, relazionale e dell’umanizzazione delle cure – spiega la presidente Barbara Mangiacavalli – sarebbe anche opportuno ampliare le esperienze di Hospice a gestione infermieristica che già si sono dimostrati efficaci per l’assistenza. E gli infermieri devono essere coinvolti in prima persona oltre che nell’assistenza anche nell’informazione e nell’educazione ai malati che soffrono, visto l’alto livello e l’intensità della relazione di cura che hanno con questi, anche per quanto riguarda la digitalizzazione dell’assistenza che può risolvere molti aspetti delle fragilità, ma ha bisogno di essere portata nelle case, spiegata, monitorata e gestita da chi assiste questi pazienti”.
Per farlo però, aggiunge, “è il momento di riconoscere le specializzazioni infermieristiche; in questo caso dare spazio alla professione infermieristica sulla gestione della terapia del dolore”.
“Vogliamo e chiediamo – afferma – di essere coinvolti in prima persona nell’assistenza a tutto campo nelle cure palliative come espressione del necessario, anzi direi ormai indispensabile, insostituibile e ineludibile lavoro in team, priorità per ogni professionista dedicato ad affrontare accanto ai pazienti il loro dolore, come in questa giornata ha anche sottolineato la Fondazione Ghirotti, da 50 anni impegnata nella diffusione di una cura dal volto più umano, rispettosa della dignità della persona malata e dei suoi familiari, con l’unico obiettivo da raggiungere ben identificato nel benessere del malato che va anche al di là del momento dell’acuzie e dell’emergenza”.
“La cultura del sollievo – conclude – è non solo una necessità, ma un dovere morale e fare sì che si propaghi e sia compresa è un compito non solo meritorio dal punto di vista umano, ma professionalmente caratterizzante per chi, come gli infermieri, ha deciso di dedicare la vita al prendersi cura”.