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Addio ad Anna Karina, musa della Nouvelle Vague  

Addio ad Anna Karina, musa della Nouvelle Vague

di Paolo Martini

L’attrice danese naturalizzata francese Anna Karina, leggendaria musa della Nouvelle Vague e dei primi otto film (1960-67) del regista francese Jean-Luc Godard, con cui è stata sposata, è morta ieri a Parigi all’età di 79 anni per le complicazioni di un tumore, come ha annunciato il suo agente. E’ autrice di tre romanzi ed è stata anche cantante al fianco di Serge Gainsbourg. Il festival di Cannes nel 2018 ha reso omaggio alla carriera di Karina.

Nata a Copenaghen il 22 settembre 1940 come Hanne Karin Blarke Bayer, per il suo volto armonioso, incorniciato da capelli scurissimi, era diventata uno dei simboli della cinematografia della Nouvelle Vague: per l’intensa interpretazione di ‘La donna è donna’ di Godard ha ottenuto l’Orso d’argento al Festival di Berlino nel 1961.

Ultimata la scuola secondaria, studiò danza; in seguito, dopo aver interpretato un cortometraggio e alcuni film pubblicitari, Karina si trasferì a Parigi diventando un’apprezzata modella (fu Coco Chanel a trovarle il nuovo nome) anche per popolari campagne pubblicitarie. Venne subito notata dal giovane Godard che la volle come protagonista del suo secondo film ‘Le petit soldat’ (girato nel 1960 ma uscito solo nel 1963), dando al suo personaggio il nome-omaggio di Veronica Dreyer e scrivendo dialoghi e scene su misura per lei. Godard fu conquistato definitivamente dalla giovane attrice offrendole la parte di una ragazza disinvoltamente sentimentale in ‘La donna è donna’ (1961) – definito poi ‘un documentario su Anna Karina’ – e sposandola subito dopo la fine delle riprese del film.

Karina divenne così la musa di Godard, con massima disponibilità ad assecondare le inconsuete tecniche del regista nella direzione degli attori. Questo importante sodalizio non le impedì però di lavorare in film di altri registi: tra questi spiccano ‘Susanna Simonin, la religiosa’ (1966) di Jacques Rivette, ‘Cleo dalle 5 alle 7’ (1962) di Agnès Varda, ‘Il piacere e l’amore’ (1964) di Roger Vadim e ‘La schiava di Bagdad’ (1963) di Pierre Gaspard-Huit.

Fu però Godard a disegnare per Karina i personaggi più originali, drammatici e astratti come in ‘Questa è la mia vita’ (1962) o ‘Agente Lemmy Caution: missione Alphaville’ (1965), o spensierati e romantici come in ‘Bande à part’ (1964) e ‘Il bandito delle 11’ (1965), culmine della sua collaborazione con il regista, che si sarebbe conclusa con ‘Una storia americana’ (1967) nel singolare ruolo di un Humphrey Bogart al femminile.

Dopo il divorzio da Godard nel 1967, Karina allargò i suoi orizzonti lavorando anche all’estero. Già nel 1965 aveva impersonato una delle prostitute greche in ‘Le soldatesse’ di Valerio Zurlini; nel 1967 fu la collega-amante di Mersault (Marcello Mastroianni) in ‘Lo straniero” di Luchino Visconti, mentre per il francese Jean Aurel, che già l’aveva diretta nell’originale “La calda pelle” (1965), interpretò “Lamiel” (1967), la ragazza di provincia del romanzo incompiuto di Stendhal.

Quasi tutti i film cui partecipò in quel periodo erano di origine letteraria: “La spietata legge del ribelle” (1969) di Volker Schlondorff da Heinrich von Kleist; “In fondo al buio” (1969) di Tony Richardson dal romanzo di Vladimir Nabokov, in un’inconsueta parte di donna cinica e spietata; “Rapporto a quattro” (1969) diretto da George Cukor, ispirato da Lawrence Durrell. E’ poi apparsa in “Pane e cioccolata” (1974) di Franco Brusati, e “L’invenzione di Morel” 1974) di Emidio Greco.

Nella seconda metà degli anni ’70 recitò per giovani registi che si richiamavano alla Nouvelle Vague, come Benoit Jacquot per il suo primo film “L’assassin musicien” (1976) e Rainer W. Fassbinder per “Roulette cinese” (1976).

Nel frattempo Karina si cimentò nella regia scrivendo, dirigendo e interpretando “Vivre ensemble” (1973), versione femminista di un fatto di cronaca parigino; nella canzone, già praticata in vari film, incidendo alcuni dischi; e anche nella scrittura pubblicando tre romanzi. Nel frattempo ha continuato a recitare saltuariamente in film, tra i quali “L’opera al nero” (1988) di André Delvaux, “Alto, basso, fragile” (1995) dell’amico Jacques Rivette. L’ultima apparizione è stata nel thriller “The truth about Charlie” (2002) di Jonathan Demme, non a caso ricco di riferimenti alla Nouvelle Vague.

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