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Coronavirus, Kustermann: “Quando facemmo indossare a Cechov la mascherina” 

Coronavirus, Kustermann: Quando facemmo indossare a Cechov la mascherina

Sono passati oltre 20 anni da quando il regista Giancarlo Nanni decise di portare in scena a Roma, al Teatro Vascello un’inedita versione del ‘Gabbiano’ di Cechov, con gli attori costretti a recitare con le mascherine sul volto. “E’ strano – ha raccontato all’Adnkronos Manuela Kustermann, fondatrice della Fabbrica dell’Attore con Giancarlo Nanni e direttrice artistica del Vascello- Eppure al debutto dello spettacolo nessun critico si domandò perché mai avessimo scelto di indossare delle mascherine. Oggi, forse, sarebbe diverso”.

A distanza di anni le immagini dello spettacolo riportano al dramma e alle costrizioni dell’oggi. Ritratti surreali, inquietanti. “Spesso le idee nascevano da semplici laboratori con gli attori – ha aggiunto Manuela Kustermann- Intuizioni profetiche legate al testo di Cechov, alla situazione del teatro in quegli anni, alla tecnologia che avanzava, alle prime riflessione sull’ambiente. La maschera per ‘silenziare’ gli attori, per rappresentare l’impotenza che attanaglia tutti i protagonisti del ‘Gabbiano’, da Mascia a Irina, da Kostantin a Trigorin, costretti a fare i conti con le loro aspirazioni e la loro drammatica infelicita’.

Oggi mi chiedo ancora – ha concluso la Kustermann- se quelle mascherine fossero per Giancarlo solo un fattore estetico o magari emblema di un asfissia esistenziale, di una sorta di soffocamento che attacca e colpisce l’uomo. Ma tutti i grandi artisti, si sa, sono sempre stati in qualche modo preveggenti”.

Ed a proposito della situazione dello spettacolo dal vivo ai tempi del coronavirus ha aggiunto Manuela Kustermann: “Il ministro Franceschini, purtroppo, mi sembra un assente ingiustificato. Si metta una mano sulla coscienza. Non siamo un settore inutile. Oggi più che mai abbiamo bisogno di linee guida per organizzarci, per poter ripartire”.

“E siamo purtroppo coscienti – ha proseguito- che nulla sarà come prima. Dobbiamo immaginare per il pubblico una nuova costruzione, nuovi modelli affinché il teatro ritorni ad essere un’abitudine. E’ una necessità”.

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