“Sono una donna capace di dire la sua età, quindi una donna capace di tutto”. Lo stato su Whatsapp di Alba Parietti rende benissimo l’idea di come viva la sua idea di femminilità a quasi 59 anni in un mondo maschilista. Un tempo, quando certa stampa si accontentava dei titoli facili e non ricordava la Parietti a teatro con un testo di Oscar Wilde, si scriveva con facilità che in tv c’erano “la coscia della sinistra contro la tetta del centrodestra”, alludendo al programma in cui erano protagoniste lei e Valeria Marini. Questo era il livello di certo giornalismo, e questo in buona parte è rimasto. Andando oltre i luoghi comuni, Da qui non se ne va nessuno, edito da Baldini + Castoldi, è la storia di una vita. La vita di Alba cresciuta fra metà famiglia aristocratica e metà partigiana antifascista, stretta fra le drammatiche storie di disagio psicologico di sua madre e di altri parenti stretti, impregnata di cultura piemontese, sempre schierata a sinistra, sempre desiderata e ammirata e ugualmente temuta per il suo rifiuto di essere solo un bellissimo corpo e un viso incantevole. Prima il carattere e la personalità, costi quel che costi, anche di fronte a errori o sbandate. E con una che non teme niente e non ha mezze misure, partiamo con schiettezza dalla fine della paura dell’età quando riguarda una donna.
Alba, dunque: dire serenamente la propria età è già un atto di indipendenza dallo sguardo maschile?
“Ci sono pregiudizi radicati fin dall’educazione familiare di noi donne, e dobbiamo scrollarceli di dosso. La mia idea di come affrontare la misoginia è ignorarla e comportarsi da donne libere. Se sei una capace di dire la sua età, e dunque ‘capace di tutto’ come diceva Oscar Wilde che io continuo ad adorare, allora sai lavorare, non ti vergogni, non hai bisogno di un uomo, non ti fai ricattare, fatichi ma poi emergi con tutta la tua esperienza di vita. Sei te stessa”.
Il MeToo sta aiutando la dignità delle donne o ha delle derive da caccia alle streghe che fanno aumentare il rancore tra sessi?
“Io parlo della versione italiana del MeToo, in questo Paese siamo bravissimi a far diventare baracconate da talk show movimenti importanti sul fronte dei diritti civili e della parità. Lo facciamo con tutto, anche con la politica e altri temi sociali. La situazione femminile al giorno d’oggi è alla deriva, i femminicidi non diminuiscono, la sopraffazione e l’idea degli uomini di usare uno sguardo volgare su cose e persone è purtroppo insita anche in molte donne. E’ sufficiente che una come me, che se lo può permettere, metta una foto su Instagram in cui indosso una minigonna, ed ecco che le prime nemiche a rivolgersi in termini volgari e aggressivi sono proprio le altre donne. Io non ho nessun politico o amante facoltoso e potente alle spalle, ce l’ho sempre fatta da sola. A volto gioco a provocare. E’ una parte che ogni donna ha, non siamo una cosa sola: vogliamo piacere, essere rispettate, essere capite, e non è da un abito che indossi o da un momento di leggerezza che si possa essere giudicate come delle poco di buono. Torno al MeToo e a quel capro espiatorio che è stata Asia Argento, ben rappresentativa di quel che avviene negli Usa, giusto indignarsi, ma lo è anche farlo quando viene ricattata e abusata sul lavoro una delle tante donne che subiscono modi incivili sul posto di lavoro o per strada dalle nostre parti. C’è un grande problema culturale e parte dall’educazione scolastica e familiare fin da bambini, dal buon esempio in famiglia. Pensiamo a come bambini e bambine vengono trattati con disparità. Tutto comincia da lì”.
C’è una spiritosa prefazione di Gad Lerner al tuo libro, in cui rievoca il momento in cui entrò negli studi di La7 e vide una tua foto del periodo di Galagoal, e dove dice di avere in comune con te la piemontesità e un certo tratto provinciale. Che significa?
“Eh, come spiegare la piemontesità e soprattutto la torinesità? E’ un marchio di fabbrica fatto di carattere riservato, elegante e sarcastico, giudicante e un filo aristocratico. Con dentro il tratto provinciale che è prima di tutto l’amore per le Langhe. Ci sentiamo ancora un po’ sabaudi, e un po’ inglesi”.
In Da qui non se ne va nessuno la storia della tua vita viene percorsa da due sottotrame importanti: quella della famiglia per metà aristocratica e monarchica e per l’altra metà di sinistra e antifascista con tanto di padre partigiano con nome di battaglia Naviga. E quella del disagio psicologico di tuo zio Aldo e soprattutto di tua madre Graziella, bipolare.
“Sì, mio padre Ceschino era impegnato nella lotta armata antifascista, la famiglia di mia madre fu sfollata in Val Sesia. Fu proprio l’incontro di due mondi in apparenza distanti. Quanto al tema della malattia mentale e del bipolarismo di mia madre, è stato il mio corpo a corpo con la vita. Per anni non ho avuto equilibrio, ero preda della paura di impazzire e di raccontare ciò che vivevo. Chi ha un parente con questo genere di disturbi deve lottare con la vergogna, a livello sociale ancora oggi è un mezzo tabù. Il genitore che dovrebbe proteggerti, come nel mio caso, diventa un tuo nemico. Ho dovuto combatere per trovare la mia centratura personale, anche perché ero segnata dalla brutta fine di mio zio, nell’ospedale psichiatrico di Collegno”.
Nel libro scrivi: “Fin da ragazzina mi consideravo brutta ma ero prorompente, fare scena di fronte agli altri mi veniva naturale”. Come mai questo rapporto conflittuale con te stessa? C’entra l’ambiente familiare in cui sei cresciuta?
“Sì, nella mia famiglia c’era molta severità, ma avevo nonni pieni di fantasia. E ricordo i picchetti politici a cui partecipavamo con mio padre, negli anni del terrorismo. Non si stava a pensare a cose effimere come la bellezza, in più io ero totalmente sfasata nel capire chi ero e sempre minacciata dal terrore di cadere nella follia di mia madre. Mi ha salvata il lavoro: ho cominciato a fare radio a 14 anni, poi il teatro, quindi la tv e infine il grande successo”.
Del periodo di grande fama e fortuna, in cui apparivi nei programmi tv più seguiti, venivi corteggiata professionalmente da Berlusconi che arrivò a offrirti 9 miliardi di lire e partecipavi agli eventi Vip più esclusivi, parli senza fare sconti agli errori che hai commesso, come quando arrivavi in studio a Domenica In poco preparata e improvvisando. Quegli errori quanto ti hanno tolto dal punto di vista professionale?
“Sai, ero giovane, un po’ ubriaca di me stessa e del successo, trovare equilibrio quando hai 28 anni e sei sulla bocca e di fronte agli occhi di tutti è difficilissimo. Dopo 14 anni di carriera io divento all’improvviso la donna più desiderata d’Italia, avevo la fila di uomini di potere che mi corteggiava, incontravo star come Sean Penn e Jack Nicholson o Alain Delon e il New Yorker mi definiva ‘una stella fra le stelle’. Mi sentii onnipotente. Ho commesso errori, certo, ma tutto sommato me li perdono. Quella volta in cui Berlusconi mi offrì un contratto da 9 miliardi e io feci l’antipatica in tutti i modi possibili perché rappresentava la parte politica avversa alla mia, oggi l’avrei gestita in modo meno impulsivo e sciocco”.
Erano anche anni in cui si parlava e si scriveva tantissimo della tua relazione col filosofo Bonaga, un intellettuale poco preoccupato della mondanità, del denaro e dell’immagine. Tu dicesti: “Guardate che sono io a stargli sempre appresso, è bravo a tenermi sulla corda”.
“Ah sì, era abilissimo a rendermi gelosa e attirarmi a sé. Ma occhio: gli intellettuali sono innamoratissimi di se stessi, del proprio fascino e del potere che dà loro l’intelligenza. Qualcuno all’epoca scrisse: ecco a che cosa serve la filosofia, a scopare (ride)”.
Ancora nel libro scrivi: “Perdevo la testa per i fuori di testa, gente che poi ha fatto una fine tremenda, incontrando sul proprio cammino qualcuno che li ha ridotti peggio di quanto loro avevano tentato di ridurre me. A un passo dal baratro mi salvavo sempre”. Come?
“Avevo addosso sempre l’ombra materna, facevo le cose per e contro di lei. Ho avuto relazioni costruttive con Franco Oppini, mio marito, e con Bonaga. Il resto è stato piuttosto tormentato. Mi piacevano i tipi genio e sregolatezza. Mi sono salvata rendendomi conto che avevo il diritto alla mia dignità, ad essere me stessa prima di tutto. Oggi poi sono molto pacificata da questo punto di vista”.
Nel tuo libro ti descrivi così: “Ho la fragilità di una educanda e la spavalderia di un camionista, un cervello da uomo in un corpo da donna. Ceschino (suo padre, ndr) mi faceva fare cose da maschio ma la mia femminilità la rispettava eccome. Immaginavo che gli uomini fossero tutti così. Col ca…. Da adulta avrei dovuto chiedergli un indennizzo per truffa”. Una mazzata tremenda a noi maschietti, non si salva nessuno?
“Beh, voi uomini non è che ultimamente diate il meglio di voi, eh? (ride). Pure io nel tempo ho fatto i miei errori sentimentali, però oggi per me gli uomini sono un dettaglio. Importante perché li frequento, ma non avendo nessuna forma di costrizione professionale o economica prima di tutto viene la mia libertà. Mi basto. Sono talmente strutturata che quando uno mi vuole dare qualcosa di bello lo accetto ma quando arrivano cose sgradevoli mi levo di torno al volo. Penso a tutte le donne innamorate di narcisisti distruttivi, e ce ne sono parecchi, che prima ti fanno credere di essere la più bella del mondo e poi ti scartano nel baratro. Non è facile arrivare a questo equilibrio, ma oggi dico di essere felice. Da sola”.
Oltre la promozione di questo libro cosa c’è?
“La scrittura di un altro libro a cui sto lavorando, la mia presenza come opinionista e ospite in varie trasmissioni. E un sogno: riuscire a fare una fiction di Da qui non se ne va nessuno. Ci sto provando e ho in mente già il cast: Miram Leone sarebbe un’ottima me da giovane, la Sandrelli potrebbe interpretare mia madre, Vittoria Puccini potrebbe essere mamma Gabriella da Giovane e Alessandro Gassmann sarebbe un perfetto papà Ceschino. Vedi? Mi manca solo il produttore giusto”.