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“Hammamet” e Craxi, l’agonia di un ex potente pieno di arroganza. Favino da Oscar

Un leone morente, a tratti rabbioso e rancoroso, di certo contradditorio e sofferente, ma più di tutto sopraffatto da orgoglio, arroganza e cinismo. Il Bettino Craxi raccontato in “Hammamet” (nelle sale dal 9 gennaio in 430 copie) da Gianni Amelio e messo in scena da uno stupefacente Pierfrancesco Favino, perfetto nell’imitare la movenza claudicante, la voce e perfino il respiro dell’ex leader socialista, non viene in realtà mai nominato nel film, dove per tutti è il “presidente” che si è rifugiato nella villa di Hammamet per fuggire alle condanne giudiziarie (due allora erano già definitive, quella per finanziamento illecito e per corruzione) e al carcere.

Una somiglianza impressionante con il vero Bettino Craxi: le foto del film

Ma non c’è dubbio che quello sia Craxi, ritratto negli ultimi sei mesi di vita (il ventennale della sua scomparsa avvenuta il 19 gennaio 2000 cadrà tra pochi giorni), confortato dalla moglie e soprattutto dalla figlia, una sorta di vestale severa ma innamorata, che nel film non si chiama Stefania come nella realtà ma Anita (Livia Rossi), per un omaggio dichiarato dallo stesso Amelio all’ammirazione garibaldina di Craxi. “Il mio film non è una cronaca fedele né un pamphlet militante”, assicura Gianni Amelio che si infervora non poco a difendere la sua creatura dall’accusa di essere un film contro Mani Pulite (qui il video integrale): “Vi sfido a dimostrarlo”. “Per me Craxi non era un esule ma nemmeno un latitante perché i latitanti sono quelli che non si sa dove si nascondano. Invece di Craxi si sapeva indirizzo e npure numero di telefono. Era contumace perché non ha mai voluto essere giudicato dai giudici. Rigettava i tribunali e si appellava al Parlamento”. Il regista racconta così la genesi di uno dei film più attesi dell’anno, il perché di una pellicola su quella che lui annota come “una colossale rimozione collettiva”: “Il produttore Agostino Saccà in realtà mi aveva proposto un film incentrato sul rapporto tra Cavour e la figlia. A quel punto ho rilanciato sul rapporto tra Craxi e la figlia, ma giusto per liberarmi di Cavour. Una cosa buttata lì che invece i produttori hanno preso subito sul serio. Mi sono documentato leggendo e vedendo di tutto e poi, certo, ho pure parlato con i familiari. Per conquistare la fiducia della moglie Anna è stato fondamentale scoprire la comune passione per il cinema”.

Gianni Amelio e Pierfrancesco Favino durante la presentazione del film a Roma.

Che cosa è dunque “Hammamet”? L’intento dichiarato è di ritrarre “l’agonia di un ex potente”, il “lato umano” di un leader che appartiene a quella stagione della politica italiana in cui il “privato” non veniva condiviso sui social e spalmato su pane e nutella. Ecco quindi l’autodistruzione a suon di carboidrati mentre il diabete gli rosicchiava la gamba e la salute; ecco la preoccupazione per quella che più che un’eredità sembrava una maledizione; ecco le visite dei politici melliflui come quello democristiano impersonato da Renato Carpentieri che nella realtà “riassume almeno tre o quattro politici”, di quelli che gli consigliavano di fare come loro, di “aprire i rubinetti davanti alle procure”, di “chinare la testa per poi poterla rialzare ancora più in alto”; ecco l’evocazione della crisi di Sigonella per opera di un gioco del nipotino sulla spiaggia; ed ecco l’amante, interpretata da Claudia Gerini, anche lei senza il nome di quella reale, Ania Pieroni, disposta a tutto pur di incontrarlo e di illudersi che Craxi fosse lo stesso dei ruggenti anni Ottanta della Milano da bere. Il lato umano, però, racconta anche la “Versione di C.”, quella trita e ritrita del “così facevan tutti”, di chi si sente al di sopra della legge e pensa che “i soldi in politica stiano come le armi in guerra. Senza non la puoi fare”. Una versione che come contraltare ha la figura inventata del figlio (Luca Filippi) di un compagno di partito suicida, soluzione drammaturgica che Amelio assume per inscenare il conflitto ma che non riesce mai davvero a essere tale. Alla fine, in un’incredibile sovrabbondanza di finali, “Hammamet” sembra essere un’occasione mancata nel raccontare davvero chi sia stato Craxi, luci, ombre e chiaroscuri compresi.

In quanto a Favino, è interessante il racconto del suo Craxi: “Ogni giorno mi sottoponevo a oltre cinque ore di trucco. Credo che truccarsi così tanto ti dia la chiave attraverso la quale ti dimentichi di averlo. A me capitava intorno alla quinta ora, quando mi mettevano sopracciglia e occhiali. In quel preciso momento è come se avessi sorpassato una porta verso l’oblio di me stesso”.

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