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Il nuovo film di Aaron Sorkin, geniale sceneggiatore statunitense, racconta le rivolte del ‘68 guardando all’America di oggi, e già si parla di candidatura agli Oscar 2021

THE TRIAL OF THE CHICAGO 7 (L to R) SACHA BARON COHEN as Abbie Hoffman, JEREMY STRONG as Jerry Rubin in THE TRIAL OF THE CHICAGO 7. Cr. NIKO TAVERNISE/NETFLIX © 2020

In esclusiva a Firenze allo Spazio Alfieri da giovedì 15 ottobre, h. 21.30 il nuovo film di Aaron Sorkin, fra i più grandi sceneggiatori statunitensi. Ne “Il processo ai Chicago 7” Sorkin racconta come Nixon mise alla sbarra l’intera sinistra della controcultura, il tempo è quello delle rivolte (finite in tribunale) del 1968, ma lo sguardo del regista è sempre rivolto al presente, all’America di Trump.

Aaron Sorkin firma sceneggiature geniali dal film Codice d’onore alle serie The West Wing e The Newsroom, fino all’Oscar per The Social Network di David Fincher e all’eccezionale Il buio oltre la siepe di quest’anno, in versione teatrale a Broadway.

Ora è alla sua seconda prova da regista dopo Molly’s Game, ma questo nuovo film, è già lanciatissimo verso gli Oscar 2021, lo stesso regista dichiara: “Ho pensato subito a quanto Il processo ai Chicago 7 non sia una lezione di storia, ma il racconto dell’America di oggi.

In Il processo dei Chicago 7 campeggia un cast d’eccezione: vari esponenti della controcultura giovanile di sinistra vengono scelti, letteralmente, come capro espiatorio per la violenta repressione delle proteste avvenute durante la convention democratica di Chicago del 1968. Con loro viene incredibilmente accusato anche Bobby Seale, co-fondatore del movimento delle Pantere Nere, che a Chicago era stato solo per quattro ore quel giorno. Grazie alle testimonianze di un gran numero di infiltrati nella protesta, si cerca di pilotare il processo verso la condanna, ma il giudice è così di parte e propenso a bizzarre decisioni da sollevare sempre più dubbi sulla regolarità del processo.

Il processo ai Chicago 7, apre con un montaggio di immagini che dichiarano subito il cortocircuito con il presente – poliziotti in riot gear, armati di lacrimogeni e manganelli che si scontrano contro una folla di manifestanti fatta in gran parte di giovani, di tutte le razze. Non è Minneapolis, Portland, Seattle o New York, ma Chicago. Non è l’estate 2020 ma quella del 1968, poco dopo gli omicidi di Martin Luther King e Bobby Kennedy. Non è la convenzione via zoom inscenata dal partito democratico l’agosto scorso ma quella molto in carne e d’ossa di 52 anni fa, dove migliaia di giovani confluirono per protestare contro la guerra in Vietnam, incarnata dal vice di Lyndon Johnson e candidato democratico alla presidenza, Hubert Humphrey.

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