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[Il ritratto] Imprevedibile, bizzarro e grandioso: la vita irregolare di Joaquin “Joker” Phoenix

“C’è Joaquin. Oh, mio Dio. Proprio a me doveva toccare”. Questa per anni è stata la reazione media tipica di chi si trovava di fronte all’attore del momento, quello che con la sua interpretazione del Joker (film “rated r”, cioè non per una audience di bambini o ragazzini più visto di sempre) è sulla bocca di tutti. Non un novellino, perché Joaquin Phoenix ci ha abituato a performance attoriali d’eccezione. E se perfino chi non si aspettava niente da Joker ed è andato a vederlo sull’onda di articoli, post, chat, community, critiche e controcritiche, è uscito dal cinema commosso e ammirato, il motivo è che niente è normale nella vita di Joaquin Phoenix. L’attore che nessun conduttore televisivo o giornalista intervistatore si augura di trovarsi di fronte. Perché gestirlo è impresa complicata. Non c’è nulla di regolare, di solito, in lui, diverso in una famiglia di diversi già dal nome

Nato in una setta

River, Rain, Summer, Liberty. Sono questi i nomi dei fratelli e sorelle carnali di Joaquin, l’unico a non portare nomi ispirati agli elementi naturali e alla libertà dell’essere umano. Come vollero i suoi genitori John e Arlyn che si innamorarono in pieno Sessantotto, folgorati dalla setta dei Bambini di Dio di cui divennero attivisti e missionari. Fino a restarne talmente delusi da cambiare il cognome Bottom (di lui) e Dunetz (di lei) in Phoenix, in segno di rinascita, come accade alla Fenice del mito. Joaquin si sentì talmente spaesato ed escluso, perfino nel nome, da ribattezzarsi Leaf (foglia) per sentirsi più accettato dal resto della famiglia. L’attore che si sarebbe segnalato per una serie di interpretazioni di una intensità unica, aveva però altri problemi ancora adolescente. La famiglia versava in cattive acque finanziarie, i fratelli Phoenix, River e Joaquin, cominciarono a procurarsi soldi facendo gli artisti di strada e partecipando a tutti i contesti per giovani talenti. A notarli fu la Paramount che li lanciò giovanissimi, rendendo River una piccola stella e un mito per adolescenti. Da Sette spose per sette fratelli a Space Camp, la celebrità arrivava rapida. Ma Joaquin disse stop. Nel mentre era esploso il matrimonio fra i suoi e lui decise di seguire il padre, abbandonando la recitazione.

Il disperato tentativo di rianimare River Phoenix, fratello di Joaquin

Il ritorno e la morte di River: la seconda vita

Al rientro negli Usa la vita dell’irregolare, imprevedibile Joaquin, si trovò immersa nella tragedia. Era la notte di Halloween del 1993, al Viper Room di Los Angeles, locale in cui si celebrava la festa con un concerto organizzato dai Red Hot Chili Peppers, alla presenza di Johnny Depp, Samantha Mathis, Corey Taylor degli Slipknot. River la stella che aveva incantato il grande pubblico in Stand By MeMosquito Coast e Indiana Jones e l’ultima crociata, era stato candidato all’Oscar e aveva vinto una Coppa Volpi a Venezia per lo scandaloso Belli e dannati, si accasciò a terra morendo poco dopo, a due passi dal fratello Joaquin. In corpo aveva un mix di tranquillanti, coca, eroina, antinfluenzali e Valium. La copertura scandalistica di quel decesso fatta dai media allontanò ancora di più Joaquin Phoenix da Hollywood e dal resto del mondo. Una reclusione durata fino al 1995, quando cominciò la sua seconda vita. Quella di attore ammirato, temuto, ricercato e preceduto dalla sua fama. Fu l’amico regista Gus Van Sant a richiamarlo in azione in Da morire. Da lì è stato un crescendo: nessuno si è mai più scordato del suo malvagio e affascinante Commodo ne Il Gladiatore, successo mondiale che gli valse la candidatura agli Oscar. Poi Signs, The Village, il Golden Globe per Quando l’amore brucia l’anima, attore perfetto, Joaquin, per interpretare la star maledetta del country, the man in black Johnny Cash. Oscar sfiorato e poi la nuova bizza. In questo caso molto artistica.

Addio alla recitazione, voglio fare il rapper

E’ rimasta nella storia della tv americana recente l’ospitata di Joaquin Phoenix al David Letterman show, occhiali da sole, lunga barba e atteggiamento assente-scostante, mise in seria difficoltà il re degli show serali americani. In seguito rivelò che era tutta una pantomima e che lo aveva fatto apposta per lanciare il falso documentario Io sono qui! in cui annunciava il suo ritiro dalla recitazione per fare il rapper. Tre anni di silenzio, ed ecco che la seconda vita di Phoenix diventa il decollo definitivo fino al ruolo di enorme successo in Joker. Cementa la sua collaborazione con Paul Thomas Anderson, lavora con lui in The Master (ispirato alla creazione della setta di Scientology) e sfiora l’Oscar, i due lavorano ancora insieme in Vizio di forma, poi ecco Woody Allen e Irrational Man, Spike Jonze e il delicato Her, mentre l’attore combatte una volta per tutte con l’alcolismo per liberarsene. Il fidanzamento con la collega Rooney Mara e la nuova sobrietà lo portano ad esplodere nei panni del Joker. Coppa Volpi a Venezia, Leone d’Oro, di nuovo il profumo di Academy Award, botteghini in frantumi, critica divisa, un cattivo dei supereroi reso con una profondità tale da portarlo dentro il grande cinema d’autore. E il terrore degli intervistatori che si ripresenta puntuale. Perché Joaquin detesta gli impreparati, le domande banali, i tentativi di tirarlo dentro storie gossippare e di coinvolgerlo in giochini scemi (memorabile il modo in cui ha annientato di recente Jimmy Fallon nel suo stesso show). E come nel finale di Joker, è nato per ammaliarci tutti prima di fuggire via verso chissà dove. In una danza inquietante.

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