A George Lucas non è mai piaciuto granché fare il regista. Mai avuta quella passione, anche sei i suoi primi lavori furono notevoli e ancora adesso fanno stabilmente parte della migliore cinematografia degli anni Settanta (parliamo di L’uomo che fuggì dal futuro e soprattutto dello splendido American Graffiti). Poi, l’invenzione della Forza e di tutta la mitologia di Star Wars. Gli ultimi dati disponibili ci dicono che L’ascesa di Skywalker, ultimo capitolo della saga sugli jedi in lotta contro l’impero, ha superato il miliardo di dollari di incassi globali. Il suo patrimonio, dati fermi al maggio del 2019, è stimato in 7 miliardi e 620 milioni di dollari, frutto anche del lucroso e discusso affare con cui ha ceduto la Lucasfilm alla Disney nel 2012, ricevendo in cambio oltre 4 miliardi di dollari, di cui la metà in denaro e il resto in titoli. Lucas cammina sull’oro e ci si tuffa a mo’ di zio Paperone, ma quello che non sempre viene ricordato è l’inizio di tutto ciò. In un letto d’ospedale dopo un incidente talmente grave che lo estrassero dai rottami che già non respirava più. Aveva diciotto anni, se ne fregava del cinema e adorava solo una cosa: le auto.
Modesto: vita semplice, noia e gare d’auto fai da te
Il giovane George lo ha detto apertamente più volte: “Non c’era molto da fare a Modesto, da dove vengo io. Pochi cinema e a me i film non appassionavano. Ero svogliato negli studi e mi interessavano solo due cose: le ragazze e i motori“. Inclusa quella Autobianchi Bianchina che Lucas aveva restaurato e lucidato personalmente e su cui amava girare tra una gara fra amici e l’altra. Era il 12 giugno 1962 quando il 18enne George Lucas rientrava a casa dalla libreria di scuola a bordo della Bianchina, e svoltava a sinistra senza aver visto il suo compagno Frank Ferreira arrivare a tutta velocità a bordo della Chevrolet Impala di cui era alla guida. Ferreira centrò in pieno Lucas, la sua Bianchina fece più volte testacoda fino a centrare un grosso albero, riducendosi ad un ammasso di rottami informi. Quando i paramedici arrivarono, George non respirava e non aveva battito cardiaco. La cosa più simile alla morte. I suoi polmoni erano collassati, anche perché nell’urto la cintura di sicurezza si era strappata. Lo davano per spacciato, ma riuscì a riprendersi. Fu durissima, e lunga. E come lui stesso ha raccontato, le prime due settimane tra la vita e la morte e quelle successive in terapia intensiva lo portarono a scoprire quella che in Star Wars è la Forza.
Quando ti sei trovato di fronte al bivio fondamentale della tua vita, e l’hai scampata per un soffio, cominci a ripensarti come individuo. La forza di volontà per riprendersi dal punto di vista fisico e psicologico fu enorme e mise George Lucas in un’altra prospettiva. Cominciò ad appassionarsi di fotografia, a studiare testi filosofici, spirituali, sociologici, riprese la scuola e la completò. Continuava a lavorare come aiuto meccanico mentre sviluppava il mestiere di grafico. Fu ad una corsa che incontrò Haskell Wexler, uno dei più importanti direttori della fotografia della storia del cinema, pure lui appassionato di motori e corse, il quale lo spinse a perfezionarsi in cinematografia. Da lì la decisione di iscriversi alla University of Southern California’s Film School. Poi l’esordio nei cortometraggi, i primi film indipendenti, notevoli, il fondamentale American Graffiti, l’incontro con la pattuglia di giovani talenti agguerriti che cambiarono la Hollywood degli anni Settanta e divennero suoi cari amici: Martin Scorsese, Francis Ford Coppola, John Milius, soprattutto Steven Spielberg. Ma c’era quella cosa della Forza da sviluppare. Portarla in una galassia lontana lontana, dove far rivivere il viaggio dell’eroe, la mitologia del Bene contro il Male, dei pochi ribelli coraggiosi e imbevuti di spiritualità contro un potere distruttivo e corrotto. Lo presero per pazzo, la lavorazione del primo Star Wars fu difficilissima e piena di problemi, con un Lucas sull’orlo dell’esaurimento. ll resto è leggenda, l’impero di Star Wars è una macchina che macina milioni di dollari e unisce due generazioni. Nel 2012 George Lucas, il sopravvissuto miliardario ha detto: “Voglio mollare tutto, mi sto allontanando dai miei affari per chiudermi in un metaforico garage armato di sega e martello, a progettare piccoli film indipendenti“. Non ha mai amato dirigere. Lo fara? Forse a partire dal progetto Red Tails, sui duelli aerei durante la Seconda guerra mondiale. Nel mentre piove denaro, e nessuno è più bravo di lui a vivere di rendita.