Avere tra le mani un libro di Woody Allen per i tantissimi fan di uno dei più geniali sceneggiatori e registi del mondo è sempre stata una grande emozione. Fin da quando, giovanissimo autore umorista per il teatro e il cabaret, trascrisse pensieri e racconti in preziosi breviari del buonumore e dell’arte di vivere come “Saperla lunga” e “Citarsi addosso”, entrambi pubblicati in Italia all’inizio degli Anni Settanta. Ma certo stavolta è diverso. “A proposito di niente” (“Apropos of Nothing”, a questo link potete comprarla subito) è la sua autobiografia, “la versione di Woody” per dirla con Mordechai Ricler, ma anche il caso editoriale dell’anno. Se non altro perché il suo atteso memoir è stato ostracizzato ferocemente dal giornalista Ronan Farrow, unico figlio biologico di Allen e di Mia Farrow, e da Dylan Farrow, la figlia adottiva che continua ad accusarlo di averla molestata, nonostante il fratello Moses, presente quel giorno, l’abbia più volte smentita, dando ragione a Woody che si è sempre dichiarato innocente. E, anzi, vittima di una perversa vendetta orchestrata da Mia Farrow che non gli ha mai perdonato di essere stata lasciata per Soon Yi. L’ostracismo però non è riuscito a fermare la pubblicazione dell’autobiografia che dal 23 marzo è uscita in anteprima mondiale in versione e-book e che dal 9 aprile, sempre che le librerie riaprano, sarà venduta anche in versione cartacea (a pubblicarla in Italia è La nave di Teseo).
Così con il tablet stretto tra le mani qualsiasi alleniano che si rispetti si fionda a leggere la dedica e l’incipit e poi corre a oltre i due terzi delle 786 pagine per scoprire la versione definitiva di Woody sulle accuse che, se anche non gli hanno negato il successo, di certo gli hanno amareggiato la vita.
La dedica romantica e disarmante a Soon Yi
La dedica, romantica e disarmante, è all’adorata moglie Soon Yi, sposata a Venezia nel 1997 e madre delle sue due bimbe: “A Soon-Yi, la migliore. Pendeva dalle mie labbra e poi mi ha avuto in pugno”, scrive innamorato come un ragazzino. L’incipit invece cita, anche nel linguaggio, nientemeno che sua maestà Salinger: “Come il giovane Holden, non mi va di dilungarmi in tutte quelle stronzate alla David Copperfield anche se in questo caso i miei genitori magari possono essere un soggetto più interessante del sottoscritto”.
Un newyorkese innamorato del jazz
Quando Mia Farrow si impossessò del figlio col quale dormiva nuda
Il racconto dell’affaire Dylan arriva a pagina 515, ma è preceduto da un resoconto piuttosto dettagliato su quale fosse il reale rapporto tra lui e Mia Farrow, su cosa rimanesse di quello che era stato un amore. “Tutto ciò successe prima che Mia rimanesse incinta. Rivoleva le chiavi del suo appartamento e quando mi facevo vedere durante i week end era diventata fredda e indifferente. La mia teoria è che avevo assolto la mia funzione mettendola incinta ed ero quindi inutile. La relazione per quanto civile continuò a sgretolarsi (…) Quando nacque Satchel (poi il nome cambiò in Ronan, ndr) le cose precipitarono ancora più rapidamente. Mia si impossessò del bambino, tenendolo sempre in camera sua e insistendo per allattarlo”. Un legame strettissimo quello tra Mia e Ronan che Allen descrive quasi come un’ossessione da parte della madre, raccontando anche che Mia dormiva nuda nel letto con il figlio fino a quando questi aveva 11 anni. Woody smentisce tante cose, a cominciare dal perché non c’è il suo nome nel certificato di nascita del figlio: “Fu Mia a rifiutarsi. Perché escludermi dopo tutte quelle chiacchiere sul fatto di volere un figlio mio? O davvero non era mio?”.
Il racconto del pomeriggio con la piccola Dylan
L’immagine che viene fuori di Mia Farrow è quella di una donna fredda, calcolatrice, indifferente: “Per Mia adottare un bambino era elettrizzante come comprare un nuovo giocattolo (…). Se mi amava aveva uno strano modo di dimostrarlo: niente intimità, poche cene e nessun viaggio insieme, scarso interesse. Civile ma non affettuosa”. E ancora: “la nostra relazione boccheggiava. Le nostre vite si erano separate”. In pratica a tenerli uniti erano i due figli adottivi che Allen andava regolarmente a trovare due volte al giorno e di cui si occupava, Moses e Dylan. E fu proprio quando il loro rapporto era ormai naufragato che sarebbe accaduto il “fattaccio”: “Cosa era successo mentte Mia era andata a fare shopping dopo aver detto a tutti di tenermi d’occhio? Eravamo tutti nel seminterrato, bambini e baby sitter comprese. Siccome non c’era posto per sedermi mi piazzai sul pavimento e per un attimo posso aver appoggiato la testa in grembo a Dyan che era sul duvano. Di certo non feci nulla di inopportuno. Era metà pomeriggio, ero in una stanza piena di persone, stavo guardando la tv”. Poi Allen descrive il passaparola tra una baby sitter e un’amica della Farrow che avrebbe detto: “L’ho incastrato”.
A casa Hemingway
Per fortuna le quasi 800 pagine di libro sono piene di quella leggerezza che ha fatto la fortuna di Allen e di tanti suoi capolavori, a cominciare da “Manhattan” e da “Io e Annie”. Il racconto dei giorni passati a casa della vedova di Ernest Hemingway sono imperdibili così come le cene con gli amici e i pensieri sui critici cinematografici. Un racconto così piacevole e sincero che quasi ti sembra di essere seduto lì davanti a lui, in uno di quegli appartamenti newyorkesi con la luce calda che tante volte ha immortalato nei suoi film mentre ti confessa: “Da ragazzo i miei film preferiti erano quelli che chiamavo champagne comedies. Ambientati in appartamenti enormi con tanto spazio vuoto. Appena entrati gli ospiti si dirigevano quasi sempre verso un mobile bar e si versavano da bere da bottiglie di cristallo. Tutti bevevano in continuazione e nessuno vomitava”. In una parola, imperdibile. Come il finale, che qui non anticipiamo.