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[L’intervista] Sandro Veronesi: “Il terrore del cambiamento e quella bambina che ci insegna il futuro”

Avanti e indietro nel tempo, dagli anni Sessanta al 2030. Dentro e attorno alle vicende di una famiglia sufficientemente comoda e benestante da nascondere tutte le fratture e le vite doppie e triple che stanno oltre la facciata della normalità in versione borghese. Il colibrì, atteso da tempo, è il libro del momento e segna il ritorno alla narrativa del Premio Strega Sandro Veronesi (già autore di Caos calmo, La forza del passato e Brucia Troia). Come un colibrì vive e ragiona Marco Carrera, protagonista principale di questo romanzo, intento a investire tutte le sue energie per proteggere le cose che considera preziose e resistere al cambiamento, come quell’uccellino sbatte a ritmo da record le ali per restare immobile in aria. Ma la vita irrompe con le sua verità: un amore sempre sentito e mai reso ufficiale (ma che torna in una serie di lettere) un matrimonio che nasconde un altro amore con una moglie che da quell’amore avrà un figlio, non di Carrera. L’amore della vita condiviso senza saperlo col proprio fratello, con cui scoppia il conflitto, una figlia che vive in un modo che tu padre mai avresti immaginato così, fino a restare incinta di un padre imprecisato e dare vita a una creatura che, detto in modo molto laico, ha un che di “messianico”. Perché contiene tutte le caratteristiche del mondo che verrà tra brevissimo, che un po’ è già qui, e che si muove sufficientemente veloce e irresistibile da strappare qualsiasi paio d’ali ad un uomo-colibrì che voleva solo starsene fermo con le sue cose care. Senza più rimetterle in discussione. Ne abbiamo parlato con l’autore (che sarà in tour di presentazione del libro, queste le date fino a fine mese: 21 novembre alla Feltrinelli di Napoli, il 23 al Man di Nuoro, il 25 alla Sala conferenze della Camera di Commercio di Sassari per il festival Entula, quindi il 27 al liceo Orazio di Roma e il 28 al Circolo dei lettori di Torino). 

Sandro, tra i recensori e e chi a vario titolo scrive del Colibrì c’è questa tendenza a creare parallelismi tra il Pietro Paladini, protagonista di Caos calmo, e Marco Carrera che è al centro di questo nuovo romanzo. Due uomini la cui mappa della vita è sconvolta dalle azioni delle mogli. Personalmente ho dubbi su questa similitudine, ma che ne pensa l’autore?
“Che Paladini e Carrera non hanno niente a che vedere l’uno con l’altro. Sono due persone diverse con destini diversi, al netto del fatto che entrambi abbiano avuto problemi con le donne. Carrera accetta un destino che gli arriva addosso, in modo molto duro, e si mette in movimento. Paladini si auto-imprigiona in una bolla che gli impedisce di soffrire. Il colibrì è la storia di una vita che comprende anche momenti felici, non solo quelli dolorosi e sconvolgenti”.

La famiglia e le sue fratture sono però al centro della tua narrazione.
“Certo, ma questo vale per moltissimi altri autori e romanzi. In realtà più del rapporto tra uomo e donna, o tra marito e moglie, mi interessa quello tra genitori e figli perché è su quel fronte che si possono fare molti più danni”.

Un romanzo che dagli anni Sessanta ci porta fino al 2030, una leggera distopia, il nostro dopodomani. La narrativa in Italia (anche nel cinema o in tv) ha grossi problemi con il futuribile. Tendiamo al realismo, ma negli ultimi anni qualcosa sta cambiando e proviamo ad immaginare cosa ci attende. Forse perché il futuro fa paura?
“Questo è un periodo in cui il futuro non c’è, non lo si vede. Le astronavi viste al loro interno sono dei cessi, non hanno niente di affascinante. Negli anni Sessanta e Settanta non si aveva paura di gettare lo sguardo oltre il presente, era un piacere farlo, un’avventura, non a caso quelli sono gli anni d’oro della fantascienza. Il futuro era un luogo che potevi inventare. Io per andare nel 2030 ho dovuto penare molto, trovare un senso, prendere una serie di situazioni conflittuali tra generazioni che già vedo ai giorni nostri, e che diventa un particolare tipo di guerra tra minorenni e adulti. Dove al centro della guerra ci sono due valori: la libertà e la verità. Ma i ragazzini non sono liberi mai, quindi lottano per la verità. Mentre gli adulti hanno ereditato la libertà da chi si è battuto ed è morto per essa, e la stanno gestendo a modo loro. Devastandola. Vogliamo parlare della libertà di non vaccinare i propri figli, considerando quella libertà conquistata come atto illiberale e arrivando a dire che ciò che ci protegge da malattie ed epidemie è dannoso?”.

La psicanalisi e la terapia toccano i personaggi principali del tuo romanzo. Lo psicologo e psichiatra hanno sostituito il confessionale religioso? Farsi vedere da uno psicologo è ancora un tabù dalle nostre parti?
“Sì, resta ancora l’imbarazzo dell’essere messi di fronte alla propria parte oscura, resa tale da noi stessi che fingiamo di ignorarla, e c’è ancora l’equazione per cui psicologo uguale pazzo. In realtà affrontare un periodo di terapia aiuta a vedersi in modo più completo, a vincere conflitti che altrimenti esploderanno in modo pericoloso. Chiediamoci perché viviamo in un mondo in cui la rabbia e l’aggressività tenute sotto pelle sono sempre pronte ad esplodere, fino alla strage”.

Il futuro in Il colibrì è incarnato da una bambina che si chiama Miraijin, nipote multietnica del protagonista, nata da padre ignoto, e che assomma su di sè la speranza verso molte delle sfide che ci attendono. Dal tema dell’accoglienza a quello di cosa vogliamo fare dell’ambiente in cui viviamo. Quel nome, giapponese, significa “colui che deve arrivare”. Ne stiamo parlando nell’epoca in cui gli adulti si scontrano e si insultano tra di loro attorno alla figura di Greta Thunberg.
“Quello che sta succedendo è che esiste già, come dicevo, un conflitto tra minorenni e adulti. I ragazzini sono ospiti in un sistema che appartiene ai loro genitori, che li guardano a vista e qualche volta li tengono, per così dire, al guinzaglio. Noi abbiamo imparato a difendere le cose che invece vanno cambiate, e per paradosso difendiamo l’infelicità. C’è gente della mia età che trova normale continuare a viaggiare sulla sua vecchia auto, per il resto che muoia tutto il mondo. Ma una persona di dieci o di sedici anni vede già un’altra realtà, in cui le cose che per noi sono irrinunciabili diventano superflue, specie di fronte alla prospettiva di vivere in un mondo appestato dallo smog, dalla plastica, dal surriscaldamento. Noi fatichiamo ad adeguarci e ci mettiamo di traverso, loro hanno già un altro immaginario. Però la vita ci dice che prevale chi ha più tempo. E sono loro, i giovani, come la Miraijin di cui scrivo io a farci spazio nel futuro e a insegnarci come non avere più inutili paure. A cominciare da quella di un mondo in cui le donne non siano più subalterne agli uomini”. 

 

 

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