Pubblicato il: 27/03/2019 17:04
Per la prima volta alla Scala di Milano va in scena ‘Manon Lescaut’ di Giacomo Puccini nella sua prima versione, sulla base dell’edizione critica curata da Roger Parker per Ricordi. Lo spettacolo, firmato da David Pountney per la regia con scene di Leslie Travers e costumi di Marie-Jeanne Lecca, debutta sul palcoscenico del Piermarini il 31 marzo (con la diretta su Rai Radio 3 e la differita su Rai5 l’11 aprile) e vede Maria José Siri nei panni di Manon, Marcelo Álvarez che si alterna con Roberto Aronica in quelli di Des Grieux, Massimo Cavalletti come Lescaut e Carlo Lepore nel ruolo di Geronte. Sul podio il direttore musicale del Teatro milanese, Riccardo Chailly, che prosegue con ‘Manon Lescaut’ il ciclo pucciniano iniziato con ‘Fanciulla del West’ e proseguito con ‘Madama Butterfly’.
L’opera, che mancava dalla Scala dall’edizione diretta da Riccardo Muti nel 1998 con la regia di Liliana Cavani, viene presentata nella prima versione andata in scena al Teatro Regio di Torino il 1° febbraio 1893 come documentata nell’Edizione critica curata da Roger Parker edita da Casa Ricordi nel 2013. ‘Manon Lescaut’ rappresenta un momento di svolta nella carriera del compositore che dopo il successo de ‘Le Villi’ al Teatro dal Verme nel 1884 e la delusione di ‘Edgar’ alla Scala nel 1889 (entrambe su libretto di Ferdinando Fontana) aveva bisogno di un’affermazione che ne consolidasse la fama, anche in competizione con gli esponenti della scuola verista: ‘Cavalleria rusticana’ di Mascagni trionfa nel 1890, ‘Pagliacci’ di Leoncavallo nel 1892.
Puccini, su suggerimento di Fontana, sceglie come fonte la ‘Storia del cavaliere Des Grieux e di Manon Lescaut’, testo scandaloso vergato dall’abate Antoine Francois Prévost nel 1731 che contava già diversi adattamenti per le scene: in forma di commedia nel 1772 (‘La courtisane amoureuse’), di balletto su musiche di Fromental Halévy nel 1830 e di mélodrame nella versione di Théodore Barrière e Marc Fournier del 1851 che fornisce ossatura drammaturgica a quella pucciniana. Ma a rendere temeraria l’impresa di Puccini c’erano in Francia due importanti precedenti operistici: ‘Manon Lescaut’ di Auber del 1856 e soprattutto la celeberrima e magnifica ‘Manon’ di Massenet del 1884.
L’elaborazione del libretto della nuova opera è accidentata: Puccini rinuncia alla collaborazione di Fontana, cui succedono Marco Praga, Domenico Oliva, Giuseppe Giacosa, lo stesso Giulio Ricordi, infine Luigi Illica, sicché il frontespizio non reca il nome del poeta. Altrettanto e più accidentato è però il percorso compositivo, nonostante il trionfo della prima torinese: Manon resterà un’ossessione per Puccini che continuerà ad apportare correzioni e varianti fino alla vigilia della morte nel 1924, tanto che gli studiosi contano ben otto versioni dell’opera. Nella partitura, affiorano tra l’altro numerosi autoimprestiti: dal secondo dei giovanili Tre minuetti per quartetto d’archi del 1884 allo Scherzo per archi degli anni del conservatorio fino alla Messa a quattro e ai Crisantemi.
La stessa aria ‘Donna non vidi mai’ ricalca la scena e aria ‘Mentia l’avviso’ scritta per gli esami di licenza del Conservatorio. Nella pluralità e complessità delle versioni, tra le quali prevale la partitura del 1915 che recepisce modifiche già apportate per le esecuzioni al Coccia di Novara e ulteriori suggerimenti di Toscanini, ha cominciato a mettere ordine dal 2007 l’Edizione Nazionale delle Opere di Giacomo Puccini, cui nel 2012 si è aggiunta l’edizione critica di Casa Ricordi nel cui quadro si colloca il lavoro di Roger Parker.
Le differenze principali tra la prima versione e quella più comunemente eseguita, come spiega lo stesso Chailly, si trovano nel primo, secondo e quarto atto. “La più significativa è alla fine del primo atto. Alla notizia che Manon e Des Grieux sono fuggiti, dopo un grande accelerando, seguito da uno scoppio, si sviluppa un Largo sostenuto (introdotto dalla citazione ai tromboni della melodia di ‘Donna non vidi mai’) con una sovrapposizione tra solisti, coro e orchestra sconvolgente, caratterizzata da una complessità ritmica modernissima. Il tutto si conclude con una stretta finale punteggiata dalle risate di scherno nei confronti di Geronte”.
“L’ossessione wagneriana – prosegue Chailly – testimoniata dalla impegnativa scrittura orchestrale, si manifesta pienamente nel secondo atto con il Tristan-Akkord, che è come un serpente sotterraneo. Denota la sensualità dell’amore tra Manon e Des Grieux. Questo riferimento alla scrittura wagneriana mi porterebbe a chiedere, come ho fatto con Chénier, di non applaudire dopo le arie, perché la scrittura è concepita in continuità, anche dal punto di vista armonico. In tutto ci sono 137 battute nuove. Dopo la grande romanza del quarto atto ‘Sola, perduta e abbandonata’, quando lei dice ‘no, non voglio morire’ – che qui è ripetuto più volte – c’è un piccolo intermezzo sinfonico, come un commento orchestrale lacerante”. La ‘Manon Lescaut’ resterà in scena fino al 27 aprile.
RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright Adnkronos.