Ci sono appuntamenti che non si possono mancare né dimenticare di onorare. Uno di questi si celebra ogni 23 maggio, anniversario della strage di Capaci, quando Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e tre uomini della scorta saltarono in aria per mano della mafia. Ogni anno proprio a ridosso di quella data la Rai, ma anche altre reti, rendono onore alla lotta alla mafia e alle sue vittime, attraverso film, documentari e programmi di approfondimento. E tra i tanti programmati in questi giorni ce ne è uno davvero imperdibile venerdì 22 maggio su Rai1, da sottolineare, in prima serata. Si tratta di “Felicia Impastato”, un film che riassume la straordinaria vicenda umana della madre di Peppino Impastato, il giornalista ucciso dalla mafia il 9 maggio del 1978, proprio lo stesso giorno nel quale il cadavere di Aldo Moro veniva trovato nel cofano della R4 rossa. Una vicenda quella di Peppino Impastato che subì una doppia infamia: prima l’assassinio, poi la mancata giustizia, visto che la sua morte venne ignobilmente archiviata come atto terroristico prima e come suicidio poi. A combattere per 20 anni contro tanta falsità e ingiustizia fu proprio la madre, donna piena di coraggio e di forza. A prestarle il volto è una straordinaria Lunetta Savino, reduce dalla candidatura come miglior attrice protagonista ai David di Donatello con un altro prezioso, piccolo, film, “Rosa”.
Lunetta, il film “Felicia Impastato” è già andato in onda 4 anni fa con enorme successo. Che cosa ti è rimasto addosso di quella esperienza?
“Fu visto da oltre sette milioni di persone, un risultato non scontato che mi ha reso felice perché questa è una storia importante e vera che merita di essere conosciuta. Felicia Impastato è una donna che ha combattuto per oltre 20 anni contro la mafia e contro tutti per avere giustizia. E il film racconta ciò che è successo a partire dalla morte del figlio Peppino fino al processo e all’incriminazione di Tano Badalamenti, come mandante dell’omicidio. Una donna che ha combattuto con l’altro figlio Giovanni e con gli amici di Peppino per avere una giustizia che dovrebbe arrivare in tempi decisamente più rapidi. Le armi del figlio erano l’ironia e l’intelligenza. E sono le stesse che Felicia Impastato ha usato per anni, raccogliendo idealmente il testimone dal figlio della lotta alla mafia. Questo è uno degli aspetti che di lei mi è sempre piaciuto molto: una madre che impara dal figlio, che lezione straordinaria. Il film poi non racconta che cosa era successo prima ma va ricordato che Felicia era stata una giovane donna capace di opporsi ai matrimoni combinati. Il suo fu un matrimonio d’amore anche se poi scoprì di essere finita tra le braccia di un mafioso. E per il resto della sua vita si trovò schiacciata tra un figlio che combatteva ciò che il padre rappresentava. Un aspetto, questo, ben raccontato ne “I cento Passi” di Marco Tullio Giordana. Mi chiedevi che cosa mi è rimasto addosso di questa donna… Ecco, indossare il suo sguardo sul mondo è stato un onore e un’esperienza umana molto forte”.
Ti abbiamo visto sfiorare la vittoria ai David di Donatello. Mi ha molto colpito quella tua confessione in diretta, l’essere candidata come attrice protagonista per la prima volta a 60 anni. Decisamente c’è poco da rallegrarsi.
“Forse non avrei dovuto dire nulla. Ma mi è scappato, ero commossa al punto che mi si è incrinata la voce. Quel film, “Rosa”, è stato un piccolo miracolo. Un film insolito e poco italiano diretto da una donna con protagonista un’altra donna della mia età che dopo un grave lutto riesce a tornare a vivere, ad amare e a provare piacere. Una sfilza di tabù infranti”.
È difficile trovare ruoli del genere al cinema?
“Molto. Direi che da questo punto di vista la televisione è più avanti del cinema dove i ruoli da protagonisti sono spesso affidati agli uomini. Nel piccolo schermo per fortuna c’è ancora spazio per donne di tutte le età e per storie di ogni genere”.
Qual è il tuo prossimo progetto?
“Il teatro, che poi è il mio grande amore. A metà luglio sarò al teatro greco di Siracusa. Farò “Medea” in un monologo che al momento è l’unica forma di teatro che ci viene concesso fare dopo la pandemia”.
Che pensieri ti ha suggerito questa emergenza e tutto ciò che ne è derivato?
“Che ancora una volta le donne vengono lasciate indietro e pagano più di tutti. La virologa Ilaria Capua ha sostenuto che visto che le donne vengono colpite meno dal virus sarebbe stato opportuno un passo indietro da parte degli uomini. Sarebbe stato opportuno che le donne fossero le prime a tornare a lavorare e invece con le scuole chiuse rischiano di non tornarci proprio. In una situazione così grave anche nelle task force si è fatto a meno di quelle che sono le capacità prettamente femminili come l’organizzazione e l’essere multi-tasking. A tenere sulle proprie spalle il welfare mezzo smantellato sono le donne e lo sappiamo tutti. Peccato che questo non venga loro minimamente riconosciuto. Credo sinceramente che noi donne dovremmo essere più combattive e dovremmo smetterla di chiedere. Basta, adesso tocca a noi. È evidente questa emergenza sia una grandissima occasione di cambiamento e non va sprecata”.