Pubblicato il: 31/08/2019 17:41
“Le famiglie sono il cuore della società, anche se quelle mononucleari sono sempre meno: qui inquadro un girotondo, raccontare la famiglia è raccontare gli esseri umani e la nostra vita”. Parola di Francesca Archibugi, che porta fuori concorso a Venezia 76 Vivere, dramedy scritto a sei mani con Francesco Piccolo e Paolo Virzì, interpretato da Micaela Ramazzotti e Adriano Giannini, prodotto da Lotus con Rai Cinema, distribuito da 01 dal 26 settembre.
Nel film, la giovane irlandese Mary Ann (Roisin O’Donovan) trova posto da ragazza alla pari nella famiglia del giornalista precario Luca (Giannini), la maestra di danza Susy (Ramazzotti) e la figlia Lucilla, e il suo intervento svelerà verità e menzogne. Nel cast anche Massimo Ghini, Marcello Fonte e Enrico Montesano, Vivere – dice Virzì – “mette il naso con lo sguardo umanistico di Francesca nel microcosmo di una famiglia non tradizionale, ponendo una questione etica, ovvero verità e menzogna”.
Per Piccolo si tratta di “un film iper-archibugesco, di cui amiamo tutti i personaggi, vigliacchi e sinceri che siano”, mentre la regista evidenzia la rinnovata “ambizione di raccontare una storia che si racconta da sé, di girare un film che sia specchio del nostro vivere”.
Basato sul racconto della Archibugi Un anno in Italia, il team di scrittura vi ha lavorato, per Virzì, “con la nostra maniera di vivere che è poi condividere: abbiamo una chat su cui ci scambiamo messaggi sulle Open Arms, Salvini, il negoziato del governo, la birra che berremo la sera. E’ un modo per sentirsi meno solo, per darci coraggio, sopra tutto a Francesca”.
Se dell’amica regista Piccolo vuole “smentire il mito della sua tenerezza, Francesca è un po’ una bestia”, la Archibugi elogia gli attori: “E’ importante sceglierli bene, significa i tre quarti del lavoro”.
Da parte loro, Giannini di Francesca loda “l’accoglienza, le sue storie che sono commedia e dramma, molto poetiche”, la Ramazzotti “la grande capacità di trovare l’essenza delle persone, dei suoi attori: riesce a tirarla fuori e mescolarla con la letteratura”, mentre la O’Donovan “l’idea del chiaroscuro in tutto, la bellezza della complessità”.
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