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Musica: Bell, ‘suono il mio Stradivari rubato nel ’36 e scomparso per 50 anni’  

Hrusa dirige Bell e il suo prezioso Stradivari a Santa Cecilia

Joshua Bell e Jakub Hrusa (foto Musacchio & Iannello)

Suono uno Stradivari del 1713 che apparteneva al violinista ebreo polacco Huberman, uno dei migliori violinisti dell’inizio del XX secolo che all’età di 11 anni suonò per Brahms. Fu rubato alla Carnegie Hall nel 1936 e per 50 anni è scomparso“. Il celebre violinista americano Joshua Bell racconta così la storia del suo violino con il quale domani alle 19,30 (repliche venerdì alle 20,30 e sabato alle 18) si esibirà nella Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, per la stagione sinfonica di Santa Cecilia, con il giovane direttore ceco Jakub Hrusa sul podio.

Uno strumento che vale diversi milioni di euro, acquistato da Bell nel 2001 dopo essere stato ritrovato nel 1986. “L’aveva rubato per sé un violinista e lo aveva ricoperto con un lucido da scarpe nero. Ci volle un anno di lavoro a Londra per restaurarlo, ma sotto quel lucido da scarpe lo strumento stava benissimo. L’ho suonato anche a Genova con musiche di Paganini e avevo le guardie del corpo che mi proteggevano“, racconta Bell, che il 12 gennaio 2007 suonò in incognito nella metropolitana di Washington D.C. nell’ora di punta del mattino per un esperimento organizzato dal ‘Washington Post’ videoregistrato da una telecamera nascosta. Di 1.097 persone transitate, solo sette si fermarono brevemente ad ascoltarlo e solo una lo riconobbe, nonostante, solo tre giorni prima, avesse fatto il tutto esaurito alla Symphony Hall di Boston dove il prezzo per un posto in platea era di 100 dollari.

Bell diretto da Hrusa suonerà il suo prezioso Stradivari nel concerto per violino di Dvorak. In programma anche cinque Danze ungheresi di Brahms e la suite del balletto ‘Romeo e Giulietta’ di Prokof’ev curata da Hrusa. “L’ho arrangiata in un modo che secondo me funziona, è efficace, l’ho fatta già diverse volte e so che funziona. Il mio desiderio è quello di includere molti numeri famosi, e penso di averlo fatto”, dice il direttore d’orchestra ceco, già noto al pubblico romano per il successo ottenuto proprio a Santa Cecilia nel 2016 con l’esecuzione del ciclo di poemi sinfonici di Smetana, ‘Ma Vlast’. E riferendosi al resto del programma, aggiunge: “Con Dvorak torno a dirigere la musica ceca, ovviamente io sono ceco e me la chiedono“. Quanto alle celebri ‘Danze ungheresi’ di Brahms, “sono belle e difficili – dice – una sfida per l’orchestra in cui i musicisti possono mostrare le loro qualità”.

Con l’Orchestra di Santa Cecilia Hrusa dice di avere “un gran feeling. E’ un’orchestra che ha un proprio suono e io mi trovo molto bene. Ha un carattere italiano e i musicisti sanno adattarsi a diversi generi. Alcuni pezzi li eseguono poi con grande naturalezza anche se non appartengono ad un repertorio molto noto come ‘Ma Vlast’ di Smetana”.

Anche Bell, che nella sua più che trentennale carriera (“a 14 anni mi sono esibito nel mio primo grande concerto con la Philadelphia Orchestra diretta da Muti. Da lì è iniziata la mia carriera”) ha suonato che le più importanti compagini mondiali, dice che i musicisti ceciliani “hanno una mentalità aperta e lavorano con grande entusiasmo. Questo si sente nella resa del suono. Sono felici e si percepisce. Se c’è un’attitudine positiva è bello suonare con un’orchestra, si impara sempre qualcosa in più. Per questo io preferisco suonare spesso con orchestre giovani. C’è un’aria diversa”.

Qual è infine il rapporto tra due musicisti classici come Bell e Hrusa e la musica sui social? “Come tutte le cose che hanno a che fare con la tecnologia – dice Bell – ci sono aspetti positivi e negativi. Per esempio mia mamma riesce a seguire online le mie esibizioni e mi chiama a fine concerto per dirmi che mi ha visto suonare. Ricevo lettere da tutto il mondo, dall’Indonesia, ad esempio, dove non sono mai stato. Questo è molto bello, il fatto che sia tutto accessibile è fantastico. Una cosa che non guardo, invece, sono i commenti su youtube. Non posso accettare che su un video di un grande violinista, come ad esempio Kreisler, si leggano commenti del tipo: ‘questo pezzo fa schifo’ o si facciano paragoni con musicisti giovani di oggi. Forse era così anche in passato, però penso che i social possano tirar fuori anche questi aspetti negativi“. Per Hrusa invece il web “è un campo formativo, io imparo molto soprattutto di altre musiche che non sono il mio genere, ma sono molto scettico sul fatto che si possa giudicare la qualità di una performance online. Sul web c’è un primo step verso la conoscenza, ma non è il risultato finale, perché quello lo può dare solo un esperienza dal vivo”, conclude il direttore ceco.

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