Non solo Il Codice Da Vinci. Intorno all’opera e alla figura di Leonardo si costruiscono teorie sui significati misteriosi, nascosti, esoterici e occulti che ogni sua preparazione e realizzazione nasconderebbero. E se la fantasia e il complottismo corrono a briglia sciolta, ci sono studi e motivazioni ben più rigorosi per cercare di decodificare il fascino speciale che ha l’artista scomparso in Francia nel 1519. Vittorio Sgarbi ha dedicato il suo ultimo saggio Leonardo – ll genio dell’imperfezione al Da Vinci. Con lui parliamo di questo gigante dell’arte che trascende le epoche e i tempi.
Sgarbi, l’opera di Leonardo Da Vinci è contraddistinta da moltissime incompiute e un intenso lavorio di studi, bozze, cartoni preparatori, esercitazioni di tecnica, dichiarazioni programmatiche. Eppure il tanto “non finito” non toglie ma semmai aggiunge fascino alla sua figura e a ciò che ci ha lasciato.
“Infatti non ho dovuto inventare nulla né faticare per trovare il titolo Il genio dell’imperfezione. Già nelle sue celebri Vite, il Vasari parla di questo, dell’ansia di conoscenza di Leonardo che non gli permetteva di arrivare in fondo alle sue realizzazioni. Ma è una scelta dell’artista, non un limite. Quando agli esordi dipinge l’angioletto nel Battesimo di Cristo del Verrocchio, o La vergine delle rocce, tutto è perfetto. I dettagli, la tecnica, la realizzazione. Poi comincia non a dipingere ma, come piace dire a me, a depingere. L’ultima cena è piena di incompiute nei materiali, nelle tecniche, nelle figure, ma questo corrisponde ad una precisa idea di Leonardo”.
Passano i secoli e l’arte di Leonardo si ammanta di un fascino crescente. E’ forse in questa fragilità degli stessi materiali che usava per le sue opere, tale che è come se li vedessimo lentamente svanire di fronte ai nostri occhi, che risiede la speciale magia che esercita anche verso il pubblico di oggi?
“C’è una tendenza esoterica a spiegare l’arte di Leonardo che è piena di frottole e interpretazioni forzate e fantasiose. Ma lui era un illuminista anticlericale, non aveva bisogno di nascondere le cose. Però il modo in cui Leonardo realizza i volti, i corpi, i gesti e i paesaggi lascia un tale spazio all’occhio e alla mente dello spettatore, che l’immaginazione va a cercare quello che non c’è. E questa è parte fondamentale del suo fascino, non c’è bisogno del romanzo di Dan Brown per accorgersene”.
Un aspetto ancora sottovalutato di Da Vinci è la sua abilità come scrittore, e in una serie di scritti sulla pittura lui parla della sua tecnica dell’inazzurramento dei lontani, per dare concretezza e profondità di campo ai paesaggi dietro e attorno alle figure principali. E’ d’accordo sul fatto che opere come la Madonna dei fusi e Sant’Anna con la Madonna, il bambino e l’agnellino testimonino alla perfezione questa tecnica del colore?
“Ma certo. E’ un modo programmatico che Leonardo aveva ma che non ha niente a che fare con l’occulto, il mistero o l’esoterismo. Piuttosto è la sua abilità nel rendere i paesaggi, le nebbie, le acque sempre lacustri dell’Italia del Nord in cui si muoveva. C’è una luce non mediterranea, singolare nei paesaggi padani, diversi da quelli toscani o meridionali”.
Le chiedo un commento su tre opere di Leonardo famosissime e molto discusse. Partiamo dal Cenacolo, o Ultima cena. Si è detto molto sulla disposizione degli apostoli, sul volto di Cristo, sui materiali usati che sono così precari da far sgretolare l’opera sotto i colpi del tempo e dell’umidità.
“Dal punto di vista della documentazione sappiamo che il volto di Cristo è l’unico volutamente non finito, come pure si è detto del cosiddetto Salvator mundi sulla cui paternità Leonardesca si è molto discusso, e oggi di proprietà di un principe saudita che poi ne ha negato l’esposizione al Louvre, facendo crescere teorie e sospetti. E’ come se Da Vinci non volesse dare contorni, confini, al viso di Cristo, una sorta di rispetto pudico. Il resto se ne sta andando nell’indefinito per via della pittura a secco. Ma il Cenacolo è un dipinto psicologico che racchiude in sé la reazione che ognuno ha di fronte alla predicazione di Gesù Cristo. E’ un capolavoro di pittura psicologica, lo ribadisco”.
Se si parla di esoterismo, poche altre realizzazioni di Leonardo vengono caricate di significati occulti come l’Uomo vitruviano. Qual è la sua?
“Nulla di esoterico, lo ripeto. L’Uomo vitruviano è un elemento di misurazione degli spazi architettonici a partire dalle misure dello stesso corpo umano. Lo dimostra il fatto che l’uomo apre le braccia e le direziona verso il cerchio e il quadrato, ma il volto con espressione corrucciata fa venire in mente che la testa sia il capitello e il corpo la colonna. Nessun mistero quindi, si tratta di un paradigma architettonico”.
Ed eccoci alla Gioconda, su cui lei si è soffermato riccamente più volte. Quando si arriva a vederla al Louvre la prima impressione è che sia piccola, non spettacolare, a dispetto della sua celebrità mondiale. Ma cos’è che la rende speciale?
“Intanto non è un ritratto, anche se comincia come tale ma poi diventa altro. Tanto che in seguito, da Duchamp a Dalì, useranno le figure ritratte per dire altro o addirittura come autoritratto. In Leonardo c’è un’esecuzione talmente intensa e ricca che la Gioconda è molto più di un ritratto, è una creatura, una persona. Un’idea potente che conserva tale potenza nella riproduzione, infatti se ci pensiamo pochissimi hanno visto prima la Gioconda originale e poi le innumerevoli foto, i poster, i manifesti che la riproducono in tutto il mondo. Avviene il contrario. Quando poi tu visitatore arrivi a Parigi a vederla, riuscirci è talmente scomodo e difficile che l’opera è la riproduzione della sua riproduzione. Per questo la concettualità della Gioconda è unica”.
Bene, messo nella tomba il Leonardo esoterico e misterioso, alla fine in cosa risiede il suo enorme fascino?
“Per cominciare, nella sua libertà d’artista che non ha mai obbedito agli ordini dei committenti, poi nel fatto che le sue opere sono dei teoremi. La dama con l’ermellino è un trattato in pittura sui temi dell’amore, della fedeltà e della devozione. La Gioconda è una donna talmente di tutti da poter essere la prostituta perfetta, la femminilità concupita e immaginata, L’ultima cena è il momento in cui l’uomo viene messo di fronte al tradimento. La potenza drammatica di Leonardo non riguarda la pittura, piuttosto riguarda la vita. Michelangelo o Raffaello ci mostrano la perfezione nella riproduzione della realtà. Leonardo Da Vinci non riproduce, il suo è un continuo trattato filosofico, una meditazione, e le figure non rimandano davvero di preciso a nessuno. Ma non parliamo di mistero, Leonardo è il pittore meno misterioso del mondo, non ci nasconde nulla”.