La quarantena vissuta come una performance artistica, gli spazi deserti che diventano luoghi dell’anima da riempire con tutto ciò che normalmente non si esprime o si dà per scontato, a cominciare dalla domanda solo apparentemente più semplice di tutte, quel “Come stai?”, tanto spesso buttato lì tanto per dire, tanto spesso eluso perfino nella risposta. “Volevo solo sapere come stai” è un film concepito e girato durante il

Da sinistra, lo scrittore Flavio Soriga e il regista Gianluca Vassallo.
Come sto? Le risposte diffidenti, tenere e a sorpresa
Per ora “Volevo solo sapere come stai” vive sospeso, proprio come quella sospensione spazio-temporale che racconta e nella quale per due mesi ci siamo ritrovati immersi più o meno tutti. “Siamo in attesa di risposte perché abbiamo mandato il film a dodici Festival, tra cui quello di Venezia, il New York Doc Festival e il Sundance di Robert Redford”, racconta Gianluca Vassallo, artista visivo che con Soriga condivide anche progetti di art-design. Ed è proprio Vassallo a dare corso al titolo del film mentre nel trailer lo vediamo intento a sfogliare l’elenco telefonico e a scegliere a caso nomi e numeri da chiamare per porre quella domanda e soprattutto per raccogliere le reazioni, diffidenti, infastidite, tenere o sorprendenti di chi si sente domandare come sta da uno sconosciuto al telefono. “Ciascuno mi ha risposto in maniera diversa. E il film è la somma di quei sentimenti che finiscono per tracciare il confine tra noi e gli altri, tra me e il mondo”, spiega Vassallo. E Soriga confida: “Quando Gianluca mi ha raccontato il progetto, ho pensato che fosse un’idea assurda ma devo ammettere che alla fine funziona e ha una sua forza intrinseca. Per tanti di noi il lockdown è stato solo una noia, per alcuni un grande dolore. Ma rivedendo quelle immagini ti commuovi e senti smuoverti qualcosa dentro”.

La locandina del film “Volevo solo sapere come stai” di Gianluca Vassallo
Consapevolezze, conquiste e timori messi a nudo
Un “dentro” che nel caso di Soriga si è nutrito di nuove consapevolezze e di qualche conquista. “Ho imparato a fare il pane seguendo la ricetta di mia zia Patrizia di Uta e con la mia bambina ho messo su l’orto, raccogliendo una sorta di testimone da parte di mia mamma, maestra mondiale nella coltivazione di qualsiasi cosa. E ovviamente ho cominciato a sentire amici e persone care, gente che vive a New York o in Spagna ma anche in altri paesi della Sardegna. Che poi non è che ci fosse molto da dirsi ma era bello sentirsi uniti in quella strana situazione”. Sulle consapevolezze acquisite, Soriga la fa breve: “Ci eravamo abituati che si può vivere a Cagliari, lavorando a Milano e avendo la fidanzata a Roma. E invece non è proprio così. Le barriere della natura esistono. Così come i punti fermi che nel mio caso ovviamente hanno le sembianze di una bambina di 7 anni”. Ma in quei due mesi ci si è anche scoperti più vulnerabili. E lo scrittore malato di talassemia come lui stesso ha raccontato in due suoi romanzi, “Sardinia Blues” e “Nelle mie vene”, confessa: “Avevo paura. Temevo che le persone non potessero andare a donare il sangue, che si facessero scoraggiare dal timore di andare in un ospedale e che non potessi fare le trasfusioni che mi permettono di vivere. E invece nonostante la paura del contagio, nonostante le mille limitazioni, la gente è andata a donare il sangue. Perché poi siamo migliori di come ci dipingiamo”.

Lo scrittore e autore tv Flavio Soriga.